Il varco, diario di un soldato nella campagna di Russia

Presentato a Venezia nella sezione Sconfini, uscirà nelle sale cinematografiche italiane a ottobre, distribuito da Istituto Luce Cinecittà, Il varco


VENEZIA – Dopo Il treno va a Mosca, Federico Ferrone e Michele Manzolini tornano con un film di montaggio sulla nostra storia. Stavolta siamo nel 1941: l’esercito fascista è alleato di quello nazista e un convoglio di militari procede vittorioso verso il Nordest dell’Europa. E’ la campagna di Russia, una delle più drammatiche disfatte per il fascismo, tristemente legata alle memorie di tante famiglie italiane ma raccontata anche dal cinema con i film di De Santis (Italiani brava gente) e De Sica (I girasoli). Così Il varco, prodotto da Kiné in associazione con Istituto Luce Cinecittà, lavora su materiali dell’archivio Luce, insieme a Home Movies, Archivio nazionale del film di famiglia, e diversi fondi privati e diari tra cui quelli di Nuto Revelli, Mario Rigoni Stern, Enrico Chierici, Guido Balzani, Remo Canetta, Adolfo Franzini. Quest’ultimo e Chierici filmarono in 9,5 mm e 16 mm il viaggio con una notevole capacità tecnica.

Così la pagina storica viene virata sul versante intimo, con il racconto in prima persona, affidato alle parole di Wu Ming 2 e alla voce narrante di Emidio Clementi di un soldato. Entriamo nella sua mente, è meno ottimista dei suoi commilitoni imbottiti di propaganda perché sa cos’è la guerra, è tormentato dalle memorie del fronte africano (le immagini sono tratte da Impressioni a distanza di Luca Ferro, che ha dato voce a suo padre e suo nonno). Ma è attraversato anche dalle suggestioni delle favole raccontate dalla madre russa, in particolare la fiaba Il soldato disertore e il diavolo di Alexander Atanasef che appare quasi profetica. All’arrivo dell’inverno l’entusiasmo generale cade sotto la coltre di gelo, si comincia a morire. L’immensa steppa spazzata dalla tormenta sembra popolata da fantasmi. “Sono immagini che riguardano la storia collettiva – spiegano gli autori – ma qui abbiamo privilegiato la parte più intima. La ritirata è il momento più conosciuto, noi ci fermiamo prima della disfatta e smontiamo il racconto di un’epopea come spesso appare nel senso comune”. 

“Nel creare la storia di un uomo alla deriva nel ‘cuore di tenebra’ della guerra – proseguono – abbiamo attinto a immaginari anche apparentemente lontani tra loro: il romanzo d’avventura, le fiabe popolari russe, la coscienza sporca del colonialismo fascista, e i diari e i memoriali dei soldati italiani sul fronte orientale. Come le pellicole che lo compongono è un film popolato di spiriti. Fantasmi che vagano sempre più numerosi nella steppa ucraina, man mano che la guerra si fa più disperata. Ricordi che si insinuano nella mente del protagonista e lo riportano agli orrori della guerra coloniale. E infine frammenti di una guerra futura che si combatte oggi in Ucraina, negli stessi luoghi dove gli italiani combatterono tra il 1941 e il 1943. Presente e passato sono due binari paralleli che, col procedere del film, si avvicinano e confluiscono. Come se le ferite di oltre 70 anni fa, nel cuore dell’Europa, non si fossero mai rimarginate”.

Un metodo, quello di raccontare una storia di finzione con materiali pre-esistenti, adottato anche da Pietro Marcello. “E’ importante che questo tipo di lavori, che non sono strettamente documentari – dice il produttore Claudio Giapponesi – siano al festival, perché spesso faticano a trovare una propria collocazione. Anche Martin Eden nasce dal lavoro filologico sul materiale d’archivio”.

La vicenda è in parte, sia pur lontanamente, sovrapponibile a quelle narrate in The Painted Bird del ceco Vaclav Marhoul, che indulge con un certo sadismo nel mostrare la cattiveria universale del genere (dis)umano con l’accanimento di tutti contro un bambino ebreo rimasto solo nell’Europa centrale funestata da nazisti, cosacchi e sovietici, contadini locali ignoranti e donne superstiziose. Ma Il varco lascia allo spettatore un ampio margine di riflessione e libertà. “Non vogliamo dare lezioni, sarebbe presuntuoso – dice Wu Ming 2 – la campagna di Russia è l’inizio della fine del fascismo che i film di famiglia ci permettono di guardare con altri occhi, nella sua quotidianità. E’ un’arma a doppio taglio, perché molti neofascisti si appellano proprio a questa normalità per sdoganare il ventennio”.

Ferrone e Manzolini lodano la “volontà dei due archivi, Luce e Home Movies, di lavorare insieme a un progetto di questo tipo che parte dalle immagini per poi aggiungere la scrittura e il montaggio. Qui l’archivio in pellicola, forma peculiare del Novecento, trova un senso maturo e compiuto”. Infine sui riferimenti all’oggi: “Alcune delle cittadine sul percorso del nostro soldato, sono ora nel pieno del conflitto tra Ucraina e ribelli russi. Quindi ai flash back abbiamo affiancato dei varchi verso il presente. Le ferite subite da quei luoghi durante la prima e la seconda guerra mondiale hanno conseguenze incontrollabili a distanza di decenni”.

Il film, presentato a Venezia nella sezione Sconfini, uscirà nelle sale cinematografiche italiane a ottobre, distribuito da Istituto Luce Cinecittà.

Cristiana Paternò
03 Settembre 2019

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