Reginald Denny, principe dei droni

Alle Giornate del Cinema Muto è il momento di Reginald Denny. La nipote Kimberly Pucci presenta domani, 10 ottobre, il libro Prince of Drones


PORDENONE – Alle Giornate del Cinema Muto è il momento di Reginald Denny. La nipote Kimberly Pucci presenta giovedì 10 ottobre il libro Prince of Drones (Principe dei droni) e la sera viene proiettata in sala una delle sue commedie più divertenti, What happened to Jones, con la regia di William H. Seiter con il quale Denny aveva una perfetta intesa artistica. Il film è preceduto da un documentario su una visita agli studi Universal, la casa di produzione con cui era sotto contratto e dove appare con le altre star dello studio.

Nato in Gran Bretagna in una famiglia di teatranti inglesi da cinque generazioni, Reginald Denny cominciò a calcare il palcoscenico sin dall’età di sette anni distinguendosi anche per la sua abilità canora. Fu pugile, pilota nella Prima Guerra Mondiale e, trasferitosi negli Stati Uniti, dopo molti tentativi non sempre coronati da successo a teatro prima e al cinema poi, riuscì infine ad affermarsi come comico a Hollywood. Per la sua personalità e cultura non poteva accettare di esasperare le situazioni farsesche e questo provocò non pochi contrasti con i dirigenti della Universal. Ma alla fine, trovata anche un’intesa con il regista William H. Seiter, Denny riuscì a far approvare la sua linea e i risultati gli dettero ragione facendolo diventare il beniamino del pubblico. Ebbe una lunga carriera nel cinema e nella televisione e fino agli anni ’60 e contemporaneamente portò avanti il suo interesse per l’ingegneria aerea, fondando anche una scuola per aeroplani radiocomandati. Durante la Seconda Guerra Mondiale progettò un drone che fu utilizzato in battaglia. Nella fabbrica di Denny che procedeva al montaggio dei droni, durante la guerra lavorava una certa Norma Jeane Mortenson Baker che poco dopo fu scoperta e lanciata nel cinema dalla First Motion Pictures Unit di Ronald Reagan con il nome di Marilyn Monroe.

In chiusura di serata (ore 22.30) il programma dello slapstick europeo è dedicato al cabarettista tedesco Karl Valentin, protagonista della scena teatrale di Monaco di Baviera, sua città natale. Fu un attore innovativo all’epoca della Repubblica di Weimar, punto di riferimento per tanti artisti che da lui presero spunto, a partire dal drammaturgo e teorico del teatro tedesco Bertolt Brecht. Valentin non riuscì a esprimersi artisticamente nel cinema quanto in teatro, anche perché le didascalie non potevano certo rendere la forza e la vivacità dei monologhi che erano il suo cavallo di battaglia. In un’intervista del 1923 dice “per vivere dovevo girare film e fare smorfie, non gliene importava nulla delle idee”. Come nota Stefan Drössler, la smorfia di Valentin si colloca nella tradizione del gähnmaul (boccaccia che sbadiglia), un gesto di derisione che mescola scherno e ridicolo, un gesto che troviamo nei dipinti del XV secolo che raffigurano il Cristo deriso, oltre che in maschere diaboliche.

Per la sezione Il canone rivisitato, alle 14.30 c’è Padre Sergio di Yakov Protazanov (con la collaborazione di Alexander Volkov), definito il “gioiello sulla corona” del cinema prerivoluzionario e tratto dal racconto di Lev Tolstoj. Fu distribuito nel maggio 1918 in piena guerra civile e fu rieditato senza tanto clamore nel 1928 quando tutta la produzione precedente la rivoluzione era considerata reazionaria. Vi furono quindi proteste sulla stampa e accuse di propaganda clericale, in verità del tutto infondate perché il film non lesinava certo critiche al clero e allo zarismo. Protazanov era un regista interessato all’adattamento cinematografico dei classici della letteratura e ammiratore in particolare dell’opera di Tolstoj. Il film inizia come un sontuoso dramma in costume con la rappresentazione estremamente curata delle cerimonie religiose, mentre nella parte più “religiosa” Protazanov riduce al minimo scenografie e accessori per concentrarsi sulla recitazione. Nonostante la società Ermolieff avesse reclutato per il film il fior fiore del teatro e del cinema di quegli anni talvolta anche in ruoli di scarsissimo rilievo, mattatore assoluto è Ivan Mozzhukhin. L’attore fu particolarmente affascinato dalla prospettiva di interpretare il personaggio in tutte l’età e in tutti gli sviluppi psicologici, dall’irruenta adolescenza negli anni della scuola militare, alla brillante figura di giovane ufficiale, a quella di maestoso prelato di un ricco monastero e infine a quella di un umile e anziano pellegrino. Di Mozzhukhin le Giornate del Cinema Muto si erano già occupate nell’edizione del 2003 e alla sua vita venne dedicata anche una pubblicazione a cura del festival. 

redazione
09 Ottobre 2019

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