Milcho Manchevski e il salice della vita

In selezione ufficiale alla Festa di Roma, Willow, tre storie di donne che lottano ad ogni costo per diventare madri


Torna a girare in Macedonia, dopo essere stato messo nella lista nera dal governo precedente, Milcho Manchevski, Leone d’Oro a Venezia nel 1994 per Prima della pioggia, film da più parti considerato uno dei migliori debutti cinematografici, per cui ha ricevuto anche una candidatura all’Oscar. Lo fa raccontando la storia di tre donne, che a ogni costo lottano per diventare madri, Willow, in selezione ufficiale alla Festa di Roma. Tre racconti differenti che si snodano dal Medioevo ai giorni nostri e che sono magistralmente connessi nel simbolo del salice, che dà il titolo al film, a rappresentare la persistenza della vita stessa. “Non è neanche il mio albero preferito – ammette il regista- ma era il più adatto a tenere insieme le storie: si piega ma non si spezza, piange, e quelle che racconto sono storie tristi”.  Resistono i rami del salice alle più grandi sfide, si piegano in posizioni assurde, scandalose, senza rompersi, riuscendo non solo a sopravvivere ma anche a prosperare. Come fa la vita stessa che si piega al dolore e alla perdita ma è ancora in grado di crescere e persino di essere felice.

In Willow tre famiglie si trovano ad affrontare una serie di dilemmi morali e personali legati al tema della procreazione. Una coppia medievale non può concepire e un’anziana donna offre loro aiuto, ma a patto di darle il primogenito. Un anno dopo aver avuto un bambino, fa loro visita a riscuotere quanto le spetta. Una coppia moderna riesce a concepire solo in vitro, ma scopre che uno dei due gemelli che stanno aspettando sarà deforme. Una donna dei nostri giorni adotta un bambino di cinque anni, molto intelligente ma non dice una parola, e un giorno all’improvviso scompare. Sebbene ci siano secoli a separarli, i personaggi hanno preoccupazioni, gioie e sogni simili: tre donne lottano per diventare madri, tre storie sono costruite sull’essenza stessa della vita, amore, procreazione, perdita e sopravvivenza. 

Una delle cose che il film racconta è che, in fondo, le grandi questioni che riguardano l’essere umano si ripetono attraverso i secoli: “Gli esseri umani sono sempre gli stessi a prescindere dal periodo storico o dall’ubicazione geografica”, sottolinea il regista che spiega di essere partito proprio dall’analizzare il contrasto tra epoche, per vedere “come le storie si potevano integrare, come sarebbero parsi tre piccoli film non collegati tra di loro che si uniscono in una falsa narrativa circolare”. “La cosa importante – continua Manchevski – è parlare dei grandi dilemmi umani, guardandoli attraverso gli occhi delle singole persone. In che modo speranze, gioie e delusione vengono vissute dai singoli”. 

Nell’episodio ambientato nel medioevo sembrerebbe che un assassinio, quello dell’anziana donna, sia strettamente legato alla successiva perdita del bambino. Ma, ammonisce il regista, nella vita le cose spesso non sono direttamente collegate e avvengono in base al caos, molto più di quanto vorremo sperare. “Qui c’è una risoluzione, o meglio una vendetta morale rispetto all’assassinio. Ma credo si tratti solo delle nostre proiezioni. Noi uomini interpretiamo le cose per dare senso al caos in cui viviamo”. 

Carmen Diotaiuti
19 Ottobre 2019

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