Bertrand Tavernier: non parlatemi di “cinéma de papa”

“Odio quel modo di dire. E’ stupido e divisivo”, dice il regista in conferenza, specificando la sua visione sul cinema francese, oltre che sulle moderne produzioni americane e sulla serialità


“Sul palco dell’Auditorium, Bertrand Tavernier approfondirà il cosiddetto “cinéma de papa”, quella forma tradizionale di racconto cinematografico cara al regista e provocatoriamente derisa dai critici dei Cahiers negli anni della Nouvelle Vague”. Così è annunciato sul sito ufficiale della Festa del Cinema di Roma l’incontro, previsto per oggi, tra il pubblico della Festa e il grande regista francese, critico raffinato e profondo conoscitore del cinema statunitense. Eppure, sembra che Tavernier l’espressione “cinéma de papa” proprio non la gradisca.

“Odio quell’espressione – chiarisce con decisione, ma anche notevolmente alterato, in conferenza quando gli si chiede un approfondimento a riguardo – io parlo dei registi che non sono stati riconosciuti dal cinema francese, e lo trovo un modo di dire imbecille. Diremmo mai che Balzac o Stendhal sono autori ‘di papà’? Penso che sia un’espressione orribile e falsa. Parlo di Bresson, di Duvivier, di gente che ha trattato temi importantissimi e non certo vetusti. Questo modo di dire crea un’opposizione che mi proponevo di evitare. Io sono stato un grande sostenitore della nouvelle vague, ma non penso che chi l’ha preceduta meriti una stampella per l’ospizio. Avevo scritto anche una lettera molto accesa all’organizzazione del festival per protestare contro questa definizione”.

L’altro grande tema è la crisi del cinema americano e le polemiche del momento che vedono contrapporsi alcuni grandi autori al sistema Marvel/Disney che è alla base della sovrabbondanza di cinecomic oggi in sala. “Penso che Scorsese e Coppola – dice il regista – abbiano detto cose molto intellligenti e sensate. Occorre essere attenti ai termini, ma c’è sempre stata una differenza tra un cinema puramente commerciale e uno che aveva invece delle ambizioni artistiche, e talvolta il cinema commerciale poteva anche avere valore artistico, come nei casi di Hawks, Minelli, Ford e Lubitsch, che hanno saputo coniugare grandi trionfi artistici a grandi successi al botteghino. Oggi trovo che ci sia una differenza forte tra film e prodotti commerciali, che è la stessa differenza che passa tra un vero ristorante e un esercizio di una catena in stime McDonald’s. Era una differenza già esistente nel cinema degli Studios, ma prima c’era un maggiore equilibrio, e si faceva in modo che comunque ci fosse una percentuale di opere ‘esigenti’ in lavorazione. C’erano grandi produttori che facevano un film dietro l’altro e ne inserivano alcuni di particolare pregio nel lotto. Oggi le persone che producono film commerciali hanno comprato tutto, comprese le compagnie indipendenti, detengono tutto il mercato. Sono quattro anni che Bennett Miller non gira, Alexander Payne fatica a montare il film, mentre i film della Marvel vanno sempre avanti. A Lione Frances McDormand ha raccontato che Chloé Zhao, regista di The Rider, un ottimo film, è stata ‘bloccata’ con la sua opera seconda. La Disney ha comprato la sua società e non vuole che lei faccia un film indipendente. Gli hanno fatto invece un contratto per un film Marvel, The Eternals. E’ il caso anche di Ryan Coogler, ad esempio, regista di Creed che poi è finito in Marvel a fare Black Panther. Un film anche interessante, dal punto di vista sociale, ma so che Scorsese ne ha parlato con lui e gli ha detto “escine. E’ una trappola, non sarai più libero”. Rischiamo di avere la dittatura di un solo tipo di cinema, mentre prima c’era un rapporto più equilibrato e anche grandi registi come Kasdan, Pollack, Lumet o lo stesso Scorsese potevano fare film che venivano ‘strappati’ agli Studios e che oggi non verrebbero finanziati. Lode invece a Netflix che ha prodotto The Irishman o Roma di Cuaron”.

Terzo grosso tema, tv e serialità: “Non ho mai lavorato per la tv – dice il regista – ho fatto documentari che poi sono stati presi dalla tv ma che originariamente erano stati pensati per il cinema. Ho visto serie straordinarie. Piacciono molto a mia moglie e me le fa conoscere, trovo ottimo tutto quello che scrive David Simon. Però, sarà per la mia formazione, fatico ad appassionarmi sulle lunghe, arrivo al massimo alla fine di una stagione. A volte mi sembra che si stirino un po’ le cose per poter continuare a pubblicare, del resto lo facevano anche i grandi romanziari del 19mo secolo, come Balzac o Ponson du Terrail. Preferisco forse le mini serie. Comunque, la stampa tende sempre ad essere divisiva. Se si amano le serie non vuol dire che sparisca il cinema. Posso adorare i Dardenne, Woody Allen, Unbelieavable e Big Little Lies, e le cose sono perfettamente compatibili”.

Andrea Guglielmino
25 Ottobre 2019

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