Amelio: “Non avrei fatto Hammamet senza Favino”

“In un solo caso ho aspettato un attore per sei mesi, ed è successo per il mio ultimo film, Hammamet che ho scritto per Favino - rivela Gianni Amelio


TORINO – “In un solo caso ho aspettato un attore per sei mesi, ed è successo per il mio ultimo film, Hammamet, non l’avrei mai fatto senza Favino”, rivela Gianni Amelio al TFF a proposito del suo attesissimo film in uscita con Pierfrancesco Favino nei panni del leader del Psi Bettino Craxi. “Il film l’ho scritto per lui, nel frattempo ho saputo che era ne Il traditore di Bellocchio, che tra l’altro sarà il produttore del mio prossimo film. Io lo avevo scelto, non a scatola chiusa ma serrata, e l’ho aspettato tutto il tempo necessario, ho detto al produttore che non si sarebbe fatto il film se non c’era lui come attore”. Ma cosa faceva Amelio proprio negli anni dell’esilio di Craxi, descritti nel film?  “Nel ‘92 giravo Il ladro di bambini, un film nel quale molti hanno letto una metafora di mani pulite. Hanno, cioè, pensato che raccontavo solo apparentemente una piccola storia privata, quella di due bambini, due ultimi, accompagnati da un terzo bambino cresciuto, che attraversavano il bel Paese, che poi tanto bello non era, così scosso dal terremoto. Rispetto a quel film la produzione voleva impormi a tutti i costi Banderas, ma io ho detto con tutte le mie forze di no. Ho anche accettato di incontrare Banderas a cena a Madrid, ma solo per dirgli di persona che non c’entrava nulla con quel film. Il produttore allora mi disse che, visto che avevo scelto un attore sconosciuto, dovevo fare il film con la metà del budget, e così abbiamo fatto. Per la verità tra i candidati del ruolo c’era Massimo Troisi. Mi aveva chiamato, dicendo che aveva letto il copione e che voleva farlo. Io ero ben felice, anche se occorreva adattare il copione al suo personaggio, ma Cecchi Gori con il quale aveva un contratto, glielo ha proibito perché voleva in quel momento da lui il film di Natale e non un film impegnato”.

Gianni Amelio è al Torino Film Festival per presentare al pubblico il suo Colpire al cuore (inizialmente doveva essere Il ladro di bambini in versione restaurata, ma per motivi tecnici il restauro ha subito dei ritardi). “Devo ammettere di essere quasi contenta di questa sostituzione perché penso che Colpire al cuore sia ancora oggi uno dei film chiave per capire la nostra storia e la nostra psicologia”, ha sottolineato il direttore del Festival Emanuela Martini a proposito del cambio di programma. Ambientato nella Milano dei primi anni Ottanta, il film esplora il conflitto profondo che il terrorismo porta all’interno di una famiglia, tra un padre e il figlio, in cui l’elemento eversivo è il padre, ex partigiano professore all’università con frequentazioni nell’ambiente di lotta armata, denunciato dal figlio quindicenne che mostra, nel gesto apparentemente poco comprensibile, il suo grande bisogno di stabilità e regole.

Controversa opera prima di Gianni Amelio, girata nel 1982 in appena otto settimane e con pochi mezzi, con la sceneggiatura di Vincenzo Cerami, “un film molto scritto, forse la sceneggiatura più complessa tra tutte le mie pellicole”, lo definisce Amelio. Il film fu presentato a Venezia dove fu accolto in maniera contrastante, come ricorda il regista: “Ci sono stati tanti equivoci, gli spettatori e i critici si sono divisi, c’è chi diceva che il film era dalla parte del padre, chi del figlio. Ma un regista quando fa un film ha necessità di mettersi nei panni di tutti i personaggi, non ci devono essere buoni e cattivi, ma solo le loro ragioni. Il regista deve scavare nei sentimenti di tutti personaggi, poi spetta al pubblico, se vuole, dare dei giudizi”. Sempre rispetto alla Mostra del Cinema Amelio racconta un inedito retroscena: “Fino al giorno prima della premiazione il film aveva vinto il premio della giuria, ma poi invece all’ultimo momento è cambiato qualcosa. Mi è capitato due volte nella storia di Venezia, l’altra fu con Lamerica, che aveva vinto il premio per la miglior fotografia. In giuria quell’anno c’era Olivier Assayas che, per inciso, ha scritto il pezzo più bello mai pubblicato, di una  incredibile acutezza e finezza, su Colpire al cuore, ma a cui Lamerica in alcuni punti aveva disturbato e me lo aveva detto”.  

Gianni Amelio quest’anno al TFF è anche uno dei protagonisti del documentario Colpiti al cuore di Alessandro Bignami, che raccoglie le testimonianze di alcuni autori italiani sugli anni di piombo, in cui ha rivelato di aver avuto, all’epoca, una gran paura di girare quel Colpire al cuore: “Potrei scrivere un libro sul terrore che avevo del non essere all’altezza di decifrare quel momento storico che vivevamo. Si respirava un’aria pesante, il film l’ho realizzato mentre tutto accadeva e la paura, in questi casi, è quella di non saper leggere gli eventi. Durante le riprese di scene con morti e feriti, per due volte mi è successo che ci fosse stato un vero attentato, una volta due giorni prima, l’altra la settimana dopo”. 

L’Oscar? “Se ci tengono proprio a darmelo lo accetto, ma che me lo portino a casa. In realtà è un premio che mi fa un po’ paura, porta male, fa perdere di genuinità. È il premio più importante dell’industria cinematografica, non del cinema in generale, ma proprio per questo, dopo averlo vinto, richiede di essere all’altezza di quell’industria, che si aspetta a quel punto un film da Oscar”.  

Carmen Diotaiuti
27 Novembre 2019

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