Leone, Kurosawa e il piano di Morricone

Fino al 3 maggio è all’Ara Pacis la mostra C’era una volta Sergio Leone, a 30 anni dalla scomparsa e a 90 dalla nascita del regista


Fino al 3 maggio è all’Ara Pacis la mostra C’era una volta Sergio Leone, a 30 anni dalla scomparsa e a 90 dalla nascita del regista, che ha esordito con grande successo alla Cinèmatheque di Parigi registrando il record assoluto di 60 mila presenze. Promossa dall’Assessorato alla Crescita Culturale di Roma Capitale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, l’esposizione è co-prodotta dalla Cinématheque insieme alla Cineteca di Bologna e realizzata con il contributo del MiBACT in collaborazione con Istituto Luce Cinecittà, Ministère de la culture, CNC- Centre national du cinéma et de l’image animée e SIAE.

A presentarla a Roma ci sono Maria Vittoria Marini Clarelli, Sovrintendente Capitolina ai Beni Culturali, Luca Bergamo, Vicesindaco di Roma con delega alla crescita culturale, Raffaella Leone, figlia di Sergio e Amministratore Delegato di Leone Film Group e il direttore della cineteca di Bologna Gianluca Farinelli.

“Il titolo non richiede troppe spiegazioni – dice Clarelli – le mostre non devono limitarsi al settore storico e archeologico ma anche dedicarsi a giuste celebrazioni. Va denotata per Leone la capacità di muoversi tra le più distinte fonti culturali, da Goya di cui collezionava incisioni, a De Chirico all’arte pop americana. La mostra le percorre tutte arrivando a C’era una volta in America e poi al film lasciato incompiuto, coprendo tutta l’esperienza culturale, in modo da cogliere tutto quel retroterra che, com’è giusto che sia, non è evidente ma è presente, mantenendo la semplicità e la forza narrativa”.

“La mostra racconta veramente mio padre – dice Raffaella Leone – e ringrazio Farinelli per averla realizzata con decisione, ironia, intelligenza e sapienza. Racconta l’uomo, il regista, il cineasta, lasciando comprendere quello che l’opera di mio padre è stato, dove è arrivata e cosa ancora continui ad essere. Ogni figlio vorrebbe per il suo genitore una mostra così”.

A Farinelli spetta il compito di illustrare i contenuti, molto ricchi e interessanti sia dal punto di vista teorico che da quello del puro intrattenimento: “La famiglia Leone ha risposto con grande generosità aprendo i suoi archivi. L’Ara Pacis a Roma è il luogo ideale per ospitare la grandiosità di Leone, il trasteverino che giocava sfide pericolose e ambiziose, riscrivendo le regole del genere più importante nella storia del cinema. Una nota battuta recita ‘Cosa avevano in comune Stalin, Churchill e Wittgenstein? Amavano tutti il western americano”. Lo amava anche Leone, ma il genere era arrivato a consunzione negli USA degli anni ‘69, mentre invece avevano ricominciato a farlo in Europa, ad esempio in Spagna e in Germania. Leone cercava il successo, il suo primo film era un peplum, Il Colosso di Rodi, e non lo aveva ottenuto, perché vice versa quel genere non andava più in Italia. Gli stessi genitori di Leone erano legati al western. Nel 1913 suo padre Roberto Roberti – pseudonimo usato da Vincenzo Leone perché i genitori non volevano che facesse cinema – e sua madre Bice Valerian (Edvige Maria Valcarenghi) avevano girato il western perduto La vampira indiana, lui come regista, lei come interprete. La mostra inizia col trillo del telefono di C’era una volta in America. Ci sono le foto della scalinata di Trastevere, che ricorda quella di Odessa e quindi La corazzata Potëmkin, si passa attraverso l’insuccesso della critica (ci sono anche recensioni negative dei film di Leone a disposizione del pubblico) e si attraversano tutte le influenze culturali dell’artista. Dall’arte classica a quella pop passando per La sfida del samurai di Kurosawa, che Leone avrebbe ‘copiato’ inquadratura per inquadratura creando Per un pugno di dollari. Li mettiamo a confronto. Leone avrebbe perso la causa con Kurosawa, capendo però che quello era il modo per rivitalizzare il genere, passando attraverso un cinema estremamente grafico, moderno e stilizzato. E la cosa pazzesca è che restano due film del tutto diversi pur essendo quello di Leone un autentico rifacimento. Il tema del passaggio da un artista a un altro è sottolineato da un’altra sezione della Mostra, dove vediamo quello che Leone ha lasciato ad altri artisti, la sua eredità: da Spielberg a Tsui Hark a Tarantino, ai videogiochi ai Simpson. E’ vero che ha rivoluzionato il cinema e che, come dice Tarantino, da Leone si può solo ripartire. Rispetto alla mostra francese, ci sono alcune parti in più. Una è dedicata a Morricone. E’ stato ritrovato il pianoforte su cui il maestro suonava le prime note dei temi dei film di Leone che sarebbero poi diventati celebri. Ma abbiamo dato spazio anche ai silenzi e ai rumori, alla dilatazione temporale che Leone letteralmente ‘inventa’ nei primi minuti di C’era una volta il West. Morricone aveva scritto il tema ma Leone non lo usò, usando solo i rumori. Abbiamo ritrovato lo spolverino indossato da Eastwood nella Trilogia del Dollaro. E chiudiamo nuovamente con C’era una volta in America e la ricostruzione della ‘doppia porta’ aperta su Coney Island che permette a Noodles di attraversare 30 anni di ricordi”.

“E’ una mostra bellissima e un piacere intelligente – commenta Bergamo – che permette di cogliere sfumature e dettagli di un lavoro certosino come quello di Leone, che andava controcorrente sotto ogni aspetto, ritrovando il piacere di film con ritmo lento e dilatato quando si cercava invece di accorciarli”.

Andrea Guglielmino
16 Dicembre 2019

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