Tolo Tolo, il Vangelo secondo Zalone

Tolo Tolo, Zalone debutta alla regia con una commedia di profonda pietas


Non viene chiamata in causa a parole la pietas, ma viene messa in scena in ogni sfumatura possibile in Tolo Tolo, Vangelo laico di potente spessore umano, opera prima da regista di Luca Medici, che con il proprio nome all’anagrafe firma il suo ruolo dietro la macchina da presa, mentre Checco Zalone rimane quello artistico da attore protagonista.

Scritto con Paolo Virzì, Tolo Tolo, un titolo quasi onomatopeico che, film facendo, si scopre essere l’infantile storpiatura di una parola meno buffa del suo suono e profondamente significativa per il racconto, ovvero “Solo Solo”, tanto concetto di solitudine, quanto d’indipendenza.

Non rinunciando a Checco Zalone, e appagando così il pubblico affezionato al sarcasmo, alla battuta, alla felice cattiveria tipiche dell’attore, Luca Medici qui somma un ulteriore piano artistico, che orchestra al meglio la commedia, usandola come i nostri maestri del passato, ovvero sapendone declinare anche le sfumature più acide, drammatiche, taglienti, con il linguaggio della leggerezza e della poesia. Nel film, Oumar (Souleymane Sylla), personaggio spalla per ampia parte della storia, celebra e ammira il cinema italiano, il Neorealismo, Il tè nel deserto di Bertolucci o Mamma Roma, ancora una volta tracce della cultura sofisticata che stanno dietro alla comicità di Zalone, che a proposito di chi l’ha preceduto nella Storia del Cinema con toni affini dice: “Guardo con estremo rispetto alla Commedia di Sordi e Risi, con le dovute proporzioni: tento di procedere sul solco segnato da questi artisti”.

Checco, il personaggio principe che “da profugo” fa il giro del mondo dalla Puglia all’Africa, e ritorno, passando per onirici paesaggi montani e favolistici voli animati in mongolfiera – di certo strizzando l’occhio ai racconti per piccoli ma, perché no, anche al planare dei netturbini di Miracolo a Milano – è il cliché realistico dell’italiano medio, “marchiato” dalla testa ai piedi da griffe di moda, idratato nel suo contorno occhi dall’esilarante prodotto all’acido ialuronico che calca la vanità maschile più dilagante, che per il regista: “È una metafora dei nostri giorni: gli scoppia la guerra intorno e lui pensa ai cazzi suoi, è grottesca la scena del bombardamento. L’egoismo è congenito nell’uomo”.  

Eppure, il viaggio di Tolo Tolo – che produttivamente è stato girato anche presso gli Studi di Cinecittà – seppur non perda mai la verve lieve, è un film che qualche lacrima la fa scendere dal ridere, e qualcuna dalla commozione, perché, come dice Pietro Valsecchi, produttore per TaoDue: “Le persone cercano un futuro, e Tolo Tolo pone la questione contemporanea, ma non pro o contro qualcuno. Non è un film politico, è un film poetico, una favola dentro la realtà. È stata una lunga avventura, una scrittura lunga oltre un anno e mezzo, per un film che era anche una scelta di campo, che Luca m’ha ripetuto potevamo non fare se non me la fossi sentita, anche perché era la sua prima regia, una cosa delicata da affrontare ma, come diceva Bertolt Brecht, si può ridere sulle cose serie e viceversa, e la poesia di Luca è andata in questa direzione”. 

Una poesia in forma di cinema di commedia, che di certo non ha mancato di suscitare chiacchiericcio polemico sin dall’uscita del trailer del film, e che probabilmente darà spunto per altri fiati da bocca: “Un po’ mi aspettavo di destare qualche polemica, ma non addirittura di essere sulle prime pagine dei giornali o argomento di dibattito nei talk show! Dopo tre giorni la polemica m’ha stancato e non l’ho più seguita. Non ho avuto paura a citare Mussolini e usare le metafore” spiega Zalone, che Salvini ha difeso, dicendo farebbe senatore a vita, eppure, pungolato sul tema politico, l’attore cede e dice che, se proprio proprio dovesse esprimere la preferenza di un politico a cui mostrare per primo il film, sceglierebbe il presidente Mattarella. O, anzi, il Papa. “Salvini è l’espressione della gente, quindi la gente si sentirà chiamata in causa; il personaggio di Luigi Gramegna (Gianni D’Addario) fa un’escalation del potere, una modalità dei nostri tempi: ha la carriera di Di Maio, il vestito di Conte e parla come Salvani, un mostro insomma. Rispetto a dieci anni fa, adesso ci sono i social che sono un megafono e i giornalisti prendono l’esiguo numero di polemiche che s’accendono e le usano per la comunicazione, in fondo m’han quasi fatto un involontario battage pubblicitario”, per questo film che s’attende faccia dividere, cosa che Zalone commenta citando De Gregori: “Perché è la gente che fa la Storia …  Quelli che hanno letto un milione di libri – E quelli che non sanno nemmeno parlare…”.

E non solo per questa citazione cantautorale Tolo Tolo è anche un film di musica, un racconto in cui Zalone rinnova il proprio amore per le note, qui in un mélange di pizzica salentina e sonorità tribali, passando per Nicola Di Bari, anche cameo nel film, e Italia cantata da Mino Reitano, colonna su cui Medici fa anche un bell’esercizio ludico di regia, per cui più diffusamente sceglie ripetute e ampissime panoramiche, preferibilmente plongée, e primissimi piani: scopriremo, in future eventuali regie, se essere tratti caratterizzanti della sua estetica da autore dietro la macchina da presa.

Nel cast corale anche Barbara Bouchet, Alexis Michalik, Manda Tourè, la figura femminile del film, Idjaba, che, seppur molto bella “non ho spogliato, non ho mostrato il culo: è stata piuttosto quella che ci ha portati in salvo”, lei, donna dall’innata maternità per il piccolo DouDou (Nassor Said Birya), nome del bambino che facilmente si presta a strizzare l’occhio al nome del famoso cagnolino di Berlusconi, ma invece qui simbolo di futuro che viene dal lontano Kenya, infatti, racconta Zalone: “Per il provino, si presentavano pariolini che trasudavano borghesia per il ruolo, poi l’ho incontrato nel suo Paese in mezzo a moltissimi bambini, ho notato la sua espressione, è calmo, è paziente”. Con questo piccolo ed esordiente interprete, anche nomi famosi per il pubblico italiano, che hanno interpretato loro stessi nel film: Enrico Mentana e Massimo Giletti, accanto a Nichi Vendola, a cui Luca Medici dona un breve ma esilarante monologo, perfettamente nelle verbose corde dell’ex governatore pugliese.

Il film esce in oltre 1000 copie dal 1 gennaio, distribuito da Medusa.

 

 

Nicole Bianchi
27 Dicembre 2019

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