La Farmacia notturna dei gemelli D’Innocenzo

C'è anche una foto scattata durante una pausa della lavorazione di Favolacce, il loro secondo film in concorso a Berlino


C’è anche una foto scattata durante una pausa della lavorazione di Favolacce, il loro secondo film in concorso a Berlino. Un gruppo di bambini e bambine attorno a un tavolo. Sguardi allegri, pensierosi, attenti, distratti, luce che irrompe dalla finestra in una stanza in penombra, l’altra tenda è tirata, si intuisce il caldo fuori. Sono piccoli brandelli di cinema, spesso sgranati, fuori fuoco, sovraesposti o sottoesposti, ma che lasciano un enorme spazio di narrazione e immaginazione allo spettatore, una libertà totale, le foto di Fabio e Damiano D’Innocenzo raccolte nel volume Farmacia Notturna pubblicato da Contrasto (in libreria dal 6 febbraio: 96 pp., 73 scatti, 24,90 €).

Sono appunti fotografici, a volte estemporanei, che prendono senso anche dalla giustapposizione, dal percorso attraverso le pagine. Tante facce ma spesso non del tutto visibili, semicoperte, voltate, tra i tanti anche un ritratto di Pietro Coccia scattato in un ristorante a New York, che fa piacere vedere come un piccolo omaggio al fotografo del cinema scomparso l’anno scorso. Come introduzione e guida un dialogo tra i due gemelli avvenuto via chat, tra Roma e Barcellona, una sera di dicembre. Un dialogo un po’ “scoglionato”, ma autentico e con sprazzi di profondità: “E’ solo una luce che ha dei ricordi”, “La fotografia è solo un modo come un altro per sentirci sbagliati. Come la poesia, come il cibo, come l’odio”. “Fotografi la vita che ti ha rovinato la foto”.

Classe 1988, i due fratelli, rivelati da La terra dell’abbastanza, colpo di fulmine per molti critici a Berlino 2018, molto attesi per l’opera seconda entrata in concorso sempre alla Berlinale, un film girato a Nepi (e la cittadina del Viterbese rientra a pieno titolo tra i luoghi fotografati, insieme a Tirana, New York, Los Angeles, Malta, Latina, Lisbona, una giraffa a casa di William Friedkin a Chicago, Parigi e, ovviamente, molto molto la periferia romana dove vivono e che amano ricambiati. 

In dialogo con Concita De Gregorio al caffè del Palazzo delle Esposizioni, i gemelli hanno raccontato le suggestioni che li hanno guidati in questa ricerca, il loro “metodo di lavoro”, sempre con un linguaggio reale, concreto, strappato alla vita vera. “Abbiamo iniziato con un telefono condiviso, un Motorola scassato ma con una bella ottica fotografica – racconta Fabio – lo abbiamo usato a turno, uno esce e va in giro, in pellegrinaggio per Roma, poi fa vedere gli scatti all’altro”. Interviene Damiano: “Da bambini abbiamo iniziato con il disegno, poi c’è stata la poesia, quindi la fotografia e da ultimo il cinema. Quando sei bambino disegni solo l’essenziale, quello che ti serve, una persona è fatta di due gambe e due braccia stilizzate. Questo è rimasto. Ci piace l’essenziale, il minuscolo, il sottile. E’ una visione marginale e un po’ birbante. Noi parliamo di estrema piccolezza. Tutto è intuito, istinto”.

“Le foto – aggiunge Fabio – funzionano quando ti porti a casa qualcosa che non sai. Così per lo scatto sul set di Favolacce: quei bambini erano belli, puri, interessanti. Le foto più belle che ho visto non sono fatte dai fotografi professionisti ma dalla gente. Mi piace, quando entro in una casa, andare a vedere cosa c’è sul comodino, perché quelle sono foto fatte per le persone amate, non per essere mostrate. Sono fuori dalla convenzione, mi spingono verso qualcosa di ignoto. Quando hanno pubblicato Farmacia Notturna è come se ci avessero rubato il libro dei ricordi”. Damiano rincara la dose: “Siamo affascinati da persone che non si vedono o che si vedono di sfuggita. Guardiamo le mani delle persone, i dettagli che sono fondamentali. Le foto sono anche tentativi di salvataggio per ritrovarsi, perché tra gemelli è molto difficile parlare, comunicare. Nelle foto ritrovo Fabio, io scrivo le poesie per mio fratello, mio padre, mia madre (hanno già pubblicato una raccolta, Mia madre è un’arma, con La Nave di Teseo, ndr). Non ci frega niente del sociologico, siamo sentimentali, come nei film”.

Adesso Damiano spiega il titolo del libro, che evoca scenari familiari a tutti ma anche tanto letterari, un po’ alla Kent Haruf. “Uno rimaneva a casa ad aspettare senza telefono, mentre l’altro era in giro a fare foto. Ma non tornava, allora lo immaginavo alla fermata del Cotral dove c’era la farmacia notturna con la sua insegna luminosa”. 

Leggi l’intervista su La terra dell’abbastanza

Cristiana Paternò
04 Febbraio 2020

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