Bong Joon-ho e la motosega

Il regista sudcoreano ha reso omaggio a Martin Scorsese sui cui film aveva studiato da giovane e ha aggiunto: "Mi piacerebbe avere una motosega per dividere la statuetta con gli altri candidati"


Un risultato storico. Per la prima volta un film straniero vince il massimo premio agli Oscar. E’ Parasite del sudcoreano Bong Joon-Ho che ha infranto una tradizione durata 92 anni aggiudicandosi il più prestigioso degli Oscar. Un verdetto a sorpresa perché il film, scene di lotta di classe con spunti noir e grotteschi, non era certo il favorito e ha sorpassato 1917, vincitore di tutti i premi di avvicinamento agli Oscar, dai Golden Globe in giù.

Già Palma d’oro a Cannes, Parasite ha portato a casa un totale quattro statuette: oltre al Best Film, anche quelle per il miglior regista (con un omaggio a scena aperta a Martin Scorsese sui cui film – ha detto Bong – aveva studiato da giovane e una battuta: “mi piacerebbe avere una motosega per dividere la statuetta con tutti i registi candidati perché li ammiro tutti”), miglior film internazionale e migliore sceneggiatura originale, mentre Brad Pitt e Laura Dern hanno ricevuto i loro primi Academy Awards come migliori attori non protagonisti, rispettivamente per C’era una volta..a Hollywood e Storia di un matrimonio. Scontati anche i due migliori protagonisti, Renée Zellweger in Judy e Joaquin Phoenix, al suo primo Oscar per Joker di Todd Phillips, film che ha vinto anche per la miglior colonna sonora originale e Leone d’oro a Venezia 2019.

“Dobbiamo lottare contro l’idea che una razza, un’idea, sia dominante rispetto a qualcuno impunemente – ha detto Phoenix spiegando che il dono più grande che gli ha dato il cinema – è quello di poter dare voce a chi voce non ce l’ha”. Durante il suo discorso, il vegano militante Phoenix ha lanciato un appello a lottare a favore dei “diritti” contro “le diseguaglianze di genere, il razzismo, o la discriminazione LGBT. Siamo così disconnessi dalla natura, con un punto di vista egocentrico – ha sottolineato – che andiamo nella natura e la distruggiamo. Commettiamo crimini contro gli animali. Abbiamo paura dell’idea di cambiare, ma dovremmo usare l’amore e la compassione come principi di guida”. Poi citando parole di una poesia scritta dal fratello River quando aveva 17 anni: “Corri verso il rifugio con amore e la pace seguirà”.

Renée Zellweger, al suo secondo Oscar in carriera, ha citato “l’unicità e l’eccezionalità di Judy Garland” che mai ha ricevuto l’onore della statuetta. Elton John ha vinto per la miglior canzone originale di Rocketman, il suo secondo Oscar, Jacqueline Durran per i costumi di Piccole donne, il film di Greta Gerwig snobbato alle nomination per la miglior regia (ma un omaggio alle donne registe lo ha fatto Natalie Portman con i lori nomi ricamati su una cappa di Dior indossata sul red carpet). A 1917, il favorito della vigilia, sono andati alcuni premi tecnici e la miglior fotografia di Roger Deakins.

Anche Jojo Rabbit, commedia drammatica sul nazismo, ha fatto storia perché il premio alla miglior sceneggiatura non originale a Taika Waititi, che interpreta anche una versione immaginaria di Adolf Hitler, è il primo Oscar andato a un maori, un aborigeno della Nuova Zelanda. “Lo dedico a tutti i bambini indigeni del mondo che vogliono cimentarsi nel mondo dell’arte, della danza o scrivere storie – ha detto Waititi, 44 anni -. Siamo narratori di nascita e possiamo farlo anche qui”. Il regista ha poi concluso il suo discorso usando una frase in maori, ‘kia ora’, che significa ‘state al sicuro’.

Il tradizionale momento degli Oscar dedicato ai personaggi dello spettacolo scomparsi durante l’anno ha reso omaggio quest’anno anche a due italiani: il regista Franco Zeffirelli e il costumista Piero Tosi. Tra i personaggi ricordati Kobe Bryant, Terry Jones, Danny Aiello, Doris Day ma anche Peter Mayhew, l’attore che per anni ha vestito i panni di Chewbecca in Star Wars. Omaggiati anche Peter Fonda, Rutger Hauer e, in conclusione, Kirk Douglas, scomparso lo scorso 5 febbraio.

Fuori dai premi, nonostante le 10 candidature, The Irishman di Martin Scorsese: ma il regista è stato citato più volte dai premiati, in particolare dal collega sudcoreano. Sullo sfondo durante tutta la cerimonia il tema delle donne e del gender gap a Hollywood. Sigourney Weaver con Brie Larson e Gal Gadot hanno parlato delle “donne super eroine, in questa serata in particolare. Dopo lo show facciamo un Fight Club, tutti gli uomini sono invitati: chi perde deve rispondere alle domande dei giornalisti su come si sente una donna ad Hollywood”, presentando la prima donna direttrice d’orchestra in 92 anni di Notte degli Oscar: Eimear Noone. A vincere per la colonna sonora è stata una musicista: l’islandese Hildur Guonadottir per Joker. Per lei standig ovation dalla platea: “abbiamo bisogno di far sentire la nostra voce”, ha detto rivolta alle spettatrici. Nonostante le 24 candidature, Netflix ha incassato una delusione: due premi, a Laura Dern e al documentario American Factory prodotto da Michelle e Barack Obama: titolo italiano Made in Usa – Una fabbrica in Ohio di Steven Bognar, Julia Reichert e Jeff Reichert, il film è il primo prodotto da Higher Ground, la società dell’ex presidente e della moglie che si sono congratulati con i registi “per aver raccontato una storia così complessa e commovente sulle conseguenze molto umane del difficile cambiamento economico”.

Nel bilancio finale: due statuette per Quentin Tarantino e C’era una volta a …Hollywood che aveva 10 nomination e due su 11 per Joker di Todd Phillips, insomma un verdetto che, lo ripetiamo ancora una volta, segna un punto e a capo nella storia degli Oscar. Storia che sarà celebrata anche attraverso il nuovo Museo dell’Academy a Los Angeles, disegnato da Renzo Piano, che aprirà i battenti il 14 dicembre 2020.  

Cristiana Paternò
10 Febbraio 2020

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