Mohammad Rasoulof, la banalità del male a Teheran

There is No Evil di Mohammad Rasoulof riapre i giochi per i premi di Berlino 70. Per il team creativo non è un film politico ma uno scavo nella coscienza


BERLINO – Non è la prima volta che un film arrivato all’ultimo rimette in discussione i premi di un grande festival. Accadde ad esempio con Rosetta al Festival di Cannes 2000, e accade ora con There is No Evil di Mohammad Rasoulof, ultimo titolo a scendere in concorso alla Berlinale 70. Un film (in Italia sarà distribuito da Satin) di cui la giuria non potrà non tenere conto e non solo per motivi squisitamente politici. La qualità artistica del progetto è molto alta, dalla scrittura alla recitazione alle questioni etiche toccate dalla narrazione, un tratto tipico del miglior cinema iraniano contemporaneo.

Lungo l’arco di due ore e mezza, scorrono quattro racconti: quattro novelle morali apparentemente separate ma che dialogano tra loro, con il ritorno di situazioni e personaggi tutti legati al tema della pena di morte e della legittimità di togliere la vita a un’altra persona, sia pure nei termini stabiliti dalla legge, ma anche della possibilità di esprimere una libera presa di posizione all’interno di un regime e dunque opporsi agli ordini. In sostanza il tema affrontato dal classico di Hannah Arendt La banalità del male.

Heshmat è un padre e marito modello. Lo vediamo tornare da lavoro e solo un po’ di inquietudine la desta quel sacco che trasporta nel portabagagli, ma scopriamo poi che è una scorta di riso per la famiglia. Durante un giornata con moglie e figlia fa la spesa, passa l’aspirapolvere nell’appartamento di sua madre e tinge i capelli alla consorte con cui dovrà partecipare a una festa di matrimonio. La mattina dopo punta la sveglia all’alba per tornare alle sue mansioni consuete: scopriremo quali. Pouya è un militare di leva – in Iran la leva obbligatoria dura due anni ed è indispensabile assolvere l’obbligo per poter lavorare o avere un passaporto – distaccato nel carcere speciale, è disperato perché dovrà prendere parte a un’esecuzione capitale per la prima volta, un commilitone lo incoraggia, un altro è disposto a prendere il suo posto in cambio di una grossa cifra di denaro. Javad torna in licenza per tre giorni per chiedere in sposa la fidanzata che adora, ma la trova addolorata per la morte di un caro amico e mentore che è stato giustiziato per motivi politici. Infine Bahram è un medico che si è ritirato in un villaggio rurale, insieme alla moglie accoglie la visita di una giovane nipote cresciuta in Germania a cui deve rivelare un segreto.

Nelle note di regia Rasoulof – che alla conferenza stampa è rappresentato da una sedia vuota come accadde in un passato recente per Panahi – spiega: “L’anno scorso ho incontrato per caso per strada uno degli uomini che mi aveva interrogato. E’ stata una sensazione indescrivibile. Senza che ne fosse consapevole, ho iniziato a seguirlo. Erano passati dieci anni, era invecchiato, volevo fotografarlo col cellulare, volevo affrontarlo e urlargli in faccia le mie domande. Poi l’ho guardato meglio e non riuscivo a vedere un mostro. In che modo le regole autocratiche modificano le persone fino a farne ingranaggi della macchina autoritaria? In questi paesi il solo scopo della legge è conservare lo Stato e non regolare e facilitare i rapporti tra le persone. Vengo da uno Stato di questo tipo e mi sono chiesto: come cittadini responsabili abbiamo una possibilità di scelta quando ci chiedono di eseguire ordini disumani? Come esseri umani, in che misura siamo responsabili dell’esecuzione di questi ordini?”.

Il regista non è potuto volare fino a Berlino, perché le autorità trattengono il suo passaporto. “Non è agli arresti – precisa uno dei produttori – ma gli è stato negato il diritto di girare film per due anni e non può uscire dal suo paese. Però sta bene, è sereno e ha un’interiorità molto solida. Fa parte di una generazione di cineasti che rifiutano la censura”. Per lui e per tutti i suoi collaboratori questo film è ovviamente un rischio, come spiega in un’intervista via skype apparsa su Cinematografo.it. Ed è un atto preciso contro la censura.  

A Berlino è presente la figlia di Mohammad, Baran Rasoulof, cresciuta in Germania come il personaggio che interpreta e che serve da collante tra il secondo e l’ultimo episodio. E’ lei a spiegare l’uso della canzone Bella ciao, molto conosciuta in Iran dove esiste anche una versione in farsi diventata l’inno della gioventù scesa in piazza a protestare, inno alla resistenza. Il gruppo del film – della delegazione fanno parte il dop Ashkan Ashkani, i produttori Kaveh Farnam e Farzad Pak e gli attori Jila Shahi, Shaghayegh Shourian e Mohammad Hossein Valizadegan, oltre a Baran – si trova a dover rispondere anche alle contestazioni di un giornalista allineato con il regime. “E’ un film che parla delle scelte e delle conseguenze di queste scelte sui propri cari, ma anche del senso di colpa. Ogni personaggio è confrontato con le sue decisioni. Non credo che il film voglia provocare una protesta. È un’opera personale, privata, che parla di spiriti liberi. Noi non vogliamo creare un movimento, ma ci sentiamo liberi di esprimere la nostra posizione”. Aggiunge il produttore: “There is No Evil non è un documentario, e non tratta della situazione attuale dell’Iran, ma di scelte che riguardano tutti gli esseri umani sia in regimi autoritari che in democrazia. Ogni giorno abbiamo la facoltà di dire no anche se le conseguenze da sostenere sono faticose”.
 
Un altro giornalista chiede come sia stato possibile realizzare il film nonostante il divieto, ma su questo si preferisce non entrare in dettagli (comunque i quattro episodi sono stati girati separatamente, come se fossero cortometraggi): “Certo, non è stato facile. Ma sentivamo che il divieto era incomprensibile e che Mohammad aveva diritto di fare il suo film. Se la verità disturba allora bisogna riflettere sul perché disturba. Sono loro che devono dare delle risposte”. E aggiunge: “Se non ci fosse la censura, ci sarebbero molti più film e talenti in Iran, non avete visto che il 10%”. Inoltre non è stato chiesto nessun permesso per le riprese. “Abbiamo girato in momenti diversi, senza seguire la procedura, del resto il permesso non comporta alcun aiuto economico o produttivo. Questo però fa sì che il film potrebbe non essere mostrato in Iran, ma noi siamo pronti a proiettarlo gratis come abbiamo fatto in passato con altri film di Rasoulof”. 

 

Il regista, nato a Shiraz nel 1972, ha avuto difficoltà con la censura per tutti i suoi sette lungometraggi. Nel 2010 è stato arrestato sul set insieme a Jafar Panahi e condannato a un anno di prigione. Ha vinto numerosi premi internazionali, tra cui il premio di Un Certain Regard a Cannes 2017 con A Man of Integrity. Ed è stato proprio al suo ritorno da Cannes, in quella occasione, che gli è stato sequestrato il passaporto.
Cristiana Paternò
28 Febbraio 2020

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