I festival cinematografici ai tempi del COVID-19

Visions du Réel, festival dedicato al cinema documentario, ha organizzato una discussione su come adattarsi all’emergenza sanitaria


Il 13 marzo il Consiglio Federale svizzero ha annunciato il divieto di ogni manifestazione pubblica o privata con più di cento persone, rendendo impossibile lo svolgimento dell’edizione fisica di Visions du Réel, inizialmente prevista dal 24 aprile al 2 maggio (le misure restrittive di cui sopra sarebbero state in vigore fino al 30 aprile). “Non potevamo rimandare, per tutta una serie di ragioni”, spiega la direttrice artistica Emilie Bujès, che ha deciso insieme alla sua squadra di salvaguardare il lavoro effettuato tramite l’edizione online. Una decisione simile a quella dell’omologo danese CPH:DOX, e che ha spinto gli addetti ai lavori a porsi delle domande su come organizzare un festival cinematografico nell’anno 2020.

A queste domande si ispira la discussione tenutasi il 26 aprile, moderata dalla giornalista Finn Halligan di Screen International. A parlare dell’argomento insieme alla direttrice di Visions du Réel altri quattro programmatori europei: Miguel Valverde, direttore artistico di IndieLisboa (che doveva tenersi in questo periodo ed è stato rimandato a fine agosto); Paolo Moretti, delegato generale della Quinzaine des Réalisateurs a Cannes (il cui annullamento è stato annunciato due settimane fa); Orwa Nyrabia, direttore artistico dell’IDFA ad Amsterdam (attualmente previsto per novembre); e Sergio Fant, direttore artistico del Trento Film Festival e membro del comitato di selezione della Berlinale.

E proprio Fant esprime al meglio il paradosso che viviamo, prendendo come esempio la kermesse tedesca, l’ultimo festival internazionale che si è svolto normalmente prima dell’emergenza sanitaria globale: “Da un lato ci sentiamo fortunati per aver potuto portare a termine la Berlinale prima della crisi, se non erro il primo caso accertato di contagio a Berlino è stato la sera del 1° marzo, quando proiettavamo l’ultimo film del festival. D’altro canto siamo preoccupati per tutti i film che abbiamo accompagnato e che ora sono bloccati, in attesa di distribuzione o di altri festival”.

La questione dei festival online, che sta portando a varie ipotesi sugli eventi di quest’anno (sia Venezia che Torino hanno parlato di possibili edizioni ibride), è spinosa soprattutto per quanto riguarda lo statuto delle prime mondiali e il prestigio dei film. In altre parole: un altro festival vorrà selezionare un lungometraggio presentato a Visions du Réel? Per Paolo Moretti la risposta è affermativa: “Bisogna saper distinguere tra un film acquistato da Netflix che è visibile ovunque senza restrizioni, e uno che fa parte del programma di un festival come Visions du Réel. Alcuni dei titoli in programma hanno restrizioni geografiche, altri riproducono il sistema festivaliero limitando la visione a 500 spettatori virtuali. Si tende a parlare sempre di online, ma c’è una differenza”.

È stato difficile convincere gli aventi diritto a partecipare a questa edizione? Risponde Emilie Bujès: “Su 97 film selezionati nei vari concorsi ne sono rimasti 95, e uno lo abbiamo perso solo perché non era più possibile completare la post-produzione”. Quanto ad altre soluzioni alternative, a Moretti si chiede anche del “marchio” di Cannes 2020 di cui si è parlato per i titoli che avrebbero fatto parte del programma sulla Croisette. La spiegazione: “Non avevamo ancora una vera e propria selezione, perché come per tutte le sezioni di Cannes molte decisioni si prendono all’ultimo, ma alcuni film li avevamo già scelti. Se uno di questi titoli dovesse uscire in autunno, senza essere stato altrove, si potrebbe parlare di una sorta di certificato per confermare che lo avevamo selezionato, un aiuto per il film”.

Dal canto suo, Orwa Nyrabia fa una considerazione che lui stesso definisce classista: “Credo che una soluzione come quella adottata da Copenaghen e Nyon abbia senso per i documentari, perché storicamente il cinema documentario non ha i mezzi di quello di finzione, e non può per forza permettersi di aspettare che la situazione torni come prima”. Egli sta prendendo in considerazione una formula ibrida per l’IDFA, in caso le sale non fossero ancora aperte a fine anno: “Io amo il cinema, ma non lo venero. Non sono contrario alla fruizione dei film in rete”.

Si arriva alla conclusione che per ora non esistono soluzioni concrete, ed è presto per valutare l’efficacia delle strategie attuali. “Questo è uno scambio di idee”, ribadisce Emilie Bujès, sottolineando l’elemento fondamentale che è in gioco: “L’importante è mantenere l’impegno nei confronti dei produttori, dei registi e dei film, nel migliore dei modi”. 

Max Borg
27 Aprile 2020

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