‘Il mio corpo’: solitudini alla deriva

Ad Alice nella Città il film di Michele Pennetta, regista italiano, svizzero di adozione, che completa la sua ideale trilogia iniziata con A iucata e proseguita con Pescatori di corpi


Michele Pennetta è italiano, ma svizzero di adozione. Ma evidentemente ha nel sangue la Sicilia, che mette in scena, attraverso due protagonisti, in Il mio corpo, ad Alice nella Città fuori concorso, dopo il passaggio a Visions du réel e la selezione a Cannes per la sezione ACID, a completare una sorta di trilogia iniziata per il regista con A iucata e proseguita con Pescatori di corpi.

Il primo protagonista è Oscar, un ragazzino dell’entroterra, faccia da schiaffi e parlata strettissima, che si gioca la sua adolescenza nell’entroterra siciliano lavorando col fratello più grande per un padre rigattiere, arrancando tra viadotti, discariche e scarpate in una wasteland delocalizzata che potrebbe trovarsi ovunque, perfino in un futuro apocalittico alla Mad Max.

Un mondo dove c’è un barlume di speranza e di fede, ma è appeso a un filo, come la statua della Madonna in una significativa immagine del film. Nel passato, il ricordo ingombrante di una madre che lo ha abbandonato – mentre il padre gli rinfaccia invece di essere rimasto – e che rappresenta per lui un obiettivo, una radice da ritrovare in un potenziale futuro dal sapore aspirazionale e onirico. Oscar non è più un bimbo, ma nemmeno un adulto. Il futuro per lui ha fascino, ma è anche spaventoso.

L’altro protagonista è Stanley, immigrato nigeriano che cerca di sopravvivere sradicato dalla sua terra. Fa le pulizie in Chiesa in cambio di ospitalità, raccoglie la frutta e pascola le pecore, qualsiasi cosa gli permetta di vivere. I due sono lontani, ma umanamente uniti dalla sensazione di essere stati dimenticati dall’universo, spinti ai margini, alla deriva.

Entrambi sono intrappolati in un eterno presente, fermi nella loro stasi, ‘nel loro corpo’, come recita il titolo. Oscar e Stan non si incontrano mai veramente se non nel sogno, l’uno si addormenta nella baracca dell’altro, che lo osserva al buio, in silenzio, dalla penombra.

“Con questo nuovo film – dice Pennetta – ho voluto raccontare la precarietà di giovani senza futuro e senza prospettive. In Stanley e Oscar c’era qualcosa che li accomunava; lo stesso sentimento di essere stati gettati in pasto al mondo senza preavviso, usando i propri corpi come unico strumento di sopravvivenza.”

Il mio corpo è prodotto, come tutti gli altri lungometraggi del regista, dalla ginevrina Close Up Films insieme all’italiana Kino Produzioni, RAI Cinema e la RSI Radiotelevisione svizzera.

TRAILER:

 

Andrea Guglielmino
23 Ottobre 2020

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