Favolacce, il silenzio dei bambini

Dall'11 maggio arriva sulle piattaforme il film dei gemelli D'Innocenzo premiato a Berlino. "Il cinema in sala è irripetibile, come la partita allo stadio. Ma se la Roma vince, va bene anche in tv"


L’orrore si cela in un album di famiglia per Fabio e Damiano D’Innocenzo. I 31enni gemelli romani, rivelati da La terra dell’abbastanza, hanno fatto un salto di qualità straordinario nella loro opera seconda Favolacce: sceneggiatura scritta quando avevano 19 anni e premiata a Berlino (leggi l’intervista) proprio per la sua qualità tenera e crudele, non realistica ma reale, che getta un’ombra – involontaria ma netta – anche sull’attualità che stiamo vivendo con il lockdown. Uno sguardo personale eppure ricco di echi cinematografici e letterari con L’antologia di Spoon River e scrittori come Vonnegut, Ibsen e Updike – ma nutrito anche di vita cruda. Un film “organico”, dove si respira l’aria stantia e si sente l’odore dei corpi e delle pulsioni. Quasi una strip dai toni raggelanti che mette i Peanuts nel frullatore. 

Era prevista un’uscita in sala il 16 aprile, ma si è optato per una distribuzione TVOD sulle piattaforme SKY PRIMAFILA Premiere, TIMVISION, CHILI, GOOGLE PLAY, INFINITY, CG Digital e  RAKUTEN TV dall’11 maggio. “Non lo viviamo come un ripiego – dicono – ma come una possibile ripartenza dell’industria e ci sentiamo dei privilegiati perché possiamo permetterci di non fare un film per un anno, mentre ci sono tanti settori che hanno bisogno di ripartire prima possibile altrimenti tra un po’ non ci sarà più niente. Sulle piattaforme sono approdati anche Lillo e Greg, Cristina Comencini e spero che altri ci seguano. Certo, il cinema in sala è irripetibile, come la partita allo stadio. Ma se la Roma vince, è bello lo stesso, anche in tv. In sala c’è un’energia che si crea insieme, però è anche importante dare la possibilità di evadere a tante persone, quindi questa uscita la vediamo come una liberazione”.

Insieme ai loro attori, Elio Germano, Barbara Chichiarelli, Gabriel Montesi, Ileana D’Ambra, i due fratelli parlano in collegamento zoom con i giornalisti, e l’entusiasmo verso il film è palpabile, ma anche la preoccupazione per la situazione che stiamo vivendo. Elio Germano prende la parola riguardo ai lavoratori del cinema, specialmente gli intermittenti. “Dovremmo aver capito cosa vuol dire stare mesi a casa senza alcuna sicurezza economica, cosa che capita spesso agli artisti anche senza il virus. Nei comparti più fragili, dove c’è una competizione orizzontale e nessuna tutela legale, gli attori sono presi per il collo, non c’è un protocollo che possa salvarli, non possono recitare con la mascherina e i guanti. Se non facciamo tesoro di questi insegnamenti, la faremo pagare alle persone più deboli. Andranno a lavorare quelli che non possono dire di no, con questa infamia dell’autocertificazione, sui set come nei cantieri. Bisogna fare attenzione. Ci rimettono come sempre i più esposti. Capisco l’urgenza di ripartire ma vorrei una compensazione non solo per le industrie ma anche per i lavoratori che non sono tracciabili, perché non siamo inseriti in alcun tipo di inquadramento”.

Intanto i gemelli sono al lavoro su una serie tv per Sky. “Cerchiamo sempre di stupirci come spettatori anziché trovare una formula collaudata, ed è quello che vorremmo vedere al cinema. Ci piace un cinema che divide, che non accontenta tutti. Cercheremo di portare questa formula anche in tv. Sembra un’utopia, ma per noi è una sfida. Adesso stiamo scrivendo, con rispetto e paura, e sappiamo solo che è un noir“.

I bambini sono protagonisti e vittime, anche se non inermi, in Favolacce. E vittime sono anche della quarantena senza possibilità di dire la loro. “I bambini – dicono i fratelli – non hanno voce come i senza tetto, gli anziani, le persone che stanno in carcere. È cambiato tutto con l’epidemia, l’unica cosa che non è cambiata è che parlano sempre le stesse persone. Parlano, si smentiscono, pregano, cantano”.  

La pandemia nel cinema del futuro. “È limitante pensare di scrivere film che parlino tutti di questo argomento, appoggiarci alla cronaca, a quello che stiamo vivendo. La base per noi è l’archetipo, il simbolo. Favolacce è un film archetipico eppure ha tantissimi riferimenti alla pandemia: l’isolamento, il condividere spazi in maniera febbrile e insostenibile, la voglia di escapismo e di liberazione. Ma per fare film sull’isolamento non c’è bisogno del coronavirus, guardate Taxi driver. La cronaca viene archiviata, come anche la storia, il simbolo resta”.

Il rapporto con l’opera prima La terra dell’abbastanza. “C’è un abbrutimento che questo paese ha subìto negli ultimi vent’anni. Ed è vero che in entrambi i film le colpe dei padri ricadono sui figli, consciamente o inconsciamente, in questo momento servirebbe un allontanamento tra genitori e figli, dovrebbe scomparire una generazione per ripulire i vizi intessuti nel nostro DNA”.

L’ambientazione. “La periferia romana de La terra dell’abbastanza dava la possibilità di evadere, di non sentirsi coinvolti. Stavolta volevamo che il paesaggio non fosse localizzabile. Siamo nei dintorni di Roma, si sente dall’accento. Ma c’è questo ordine, questa simmetria, è un luogo lindo e inoffensivo, igienico. Un bel covo dove stivare tanto malessere”.

La sessualità. “Saremmo andati oltre nel racconto dell’eros, ma abbiamo voluto evitare divieto ai 18 anni, forse in un libro ci saremmo spinti oltre. La sessualità rimane misteriosa, crescendo si inquina, si annacqua, incespica. Ma non c’è chi ne sa di più, tra un bambino e un novantenne. È un sesto senso. Volevamo perlustrare le prime pulsioni sessuali incongrue. Forse, prima o poi, faremo un film erotico. Sono pochissimi i registi che sanno affrontare questo argomento”.

Siete cambiati dopo Berlino? “Il cambiamento si vedrà alla distanza. Il successo? Quale successo? Abbiamo poco a che fare con il mondo del cinema, non abbiamo la percezione di quello che possiamo evocare. Stiamo nel nostro quartiere e va benissimo così”.

Modelli. “Prima di tutto Charles Schulz, l’autore dei Peanuts, Charlie Brown è la nostra Bibbia, tutte le risposte stanno lì. Poi la letteratura americana che a 19 anni leggevamo tantissimo. Nei libri italiani ti trovavi in oceani di interpunzioni e aggettivi, lunghe descrizioni, con l’eccezione di Rodari”.

Stile. “L’autocensura nel cinema italiano crea un circolo vizioso dal quale è difficile uscire. Ma un cinema personale in Italia si è sempre fatto. Adesso si può tornare verso un cinema più carnale e sensoriale, viscerale. Non aprendosi all’America o guardando a Oriente, perché anche Bertolucci era straordinario, forse negli ultimi anni ci sono state solo due strade, il genere e l’autore, e spesso la differenza è nettissima, non ci sono le contaminazioni come nella musica o nella pittura, invece le contaminazioni sono fondamentali. Noi abbiamo cercato di fare qualcosa di contaminato e spurio. Favolacce è un film industriale prodotto da Rai Cinema e con una grandissima distribuzione. Bisogna far arrivare linguaggi più estremi al grande circuito”.

Paura. “La paura divide, come il diavolo. Essere in 70 persone sul set ti porta a condividerla, diventa collettiva. Potremmo scrivere un romanzo, fare fotografie, ma il cinema ha bisogno degli attori, che sono un arricchimento. Due occhi e due cuori danno vita alla tua paura. Abbiamo paura sempre, siamo sempre esposti emotivamente. Sempre. Ma non vediamo la paura come qualcosa da cui scappare. La paura possiede un ritmo che nessun altro sentimento possiede”.

Cristiana Paternò
08 Maggio 2020

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