Giulio Pranno: “Tutto è cominciato con Puck di Shakespeare”

Giulio Pranno: “Tutto è cominciato per timidezza e con Puck di Shakespeare”


“Mi chiamo Vincent Manzato, sono nato il 13 marzo 2003 a Trieste, mia mamma è Elena Manzato, sono stato adottato dal signor Mario Topoi e mio papà si chiama Willipoi”: con questo mantra abbiamo conosciuto l’affascinante personaggio portato sul grande schermo da Giulio Pranno in Tutto il mio folle amore diretto da Gabriele Salvatores, un debutto per il giovane interprete, che, dopo non essere stato ammesso al Centro Sperimentale, è stato scovato proprio dall’elenco di chi non aveva superato le selezioni della scuola e così, quella Trieste che la sua biografia cinematografica gli ha attribuito come città natale, l’ha insignito del Premio Prospettiva, assegnato alle talentuose promesse del cinema italiano.

Con questo Premio, ShorTS International Film Festival rinnova di accendere i riflettori su un giovane emergente della recitazione, un’intuizione che, nel corso del tempo, è stata spesso confermata dalla carriera degli artisti premiati, tra cui Alba Rohrwacher, Luca Marinelli, Michele Riondino, Matilda De Angelis, Daphne Scoccia, Francesco Di Napoli.

Pranno, oltre che destinatario del Premio, è stato anche protagonista di una Masterclass online: “La mia passione per la recitazione è stata un po’ un caso, nonostante sia sempre stato un appassionato di cinema, ma non mi ero mai visto come attore: alle medie mio padre spingeva perché facessi un po’ di teatro per la timidezza e in uno spettacolo interpretavo Puck di Sogno di una notte di mezza estate, quando ad un certo punto c’è stato un buco di silenzio e un’insegnante mi prese e mi fece uscire in mezzo al palco, dove improvvisai un balletto, e lì ho avvertito una sensazione…”, un’esperienza che nel tempo l’ha portato a cercare “una preparazione tecnica: ho studiato, ma non ho fatto corsi professionali e ho sempre pensato di colmare con la parte istintiva, penso che il rubare con gli occhi accomuni un po’ tutti gli attori, e io credo che permetta di capire, entrare, immaginare anche oltre quello che vedi, così da poterlo restituire sullo schermo”. 

E poi, nella vita e nella carriera di Giulio Pranno è arrivato “un messaggio su FB che diceva che stavano cercando il protagonista del nuovo film di Salvatores: pensavo fosse uno scherzo, ma ho accettato e mi sono presentato al provino, e lì ho capito che non si scherzava. Mi ricordo che, essendo passato per comunità di ragazzi autistici, m’era rimasto impresso quanto fosse difficile farli parlare, così all’inizio del provino decisi di cantare: ho puntato molto sul mettere in difficoltà il casting director, Francesco Vedovati, infatti ad ogni domanda non rispondevo, circolavo per la stanza. Penso sia stata una caratteristica che li ha colpiti”. E così dev’essere andata perché Giulio Pranno ha poi debuttato al cinema con Tutto il mio folle amore, ispirato dalla reale storia di Andrea Antonello, che “ho conosciuto poco prima delle riprese, sono stato un paio di giorni a casa loro: ricordo che proprio il papà mi ha lasciato libero con Andrea, e alcune sue amiche ci hanno portato in giro una sera, senza genitori, cosa che lì per lì m’aveva un po’ stupito, ma ho avuto la possibilità di rubare con gli occhi da Andrea tante cose che si vedono nel film, come la scena del bastone sotto l’ascella, che ho proposto a Gabriele. Tantissime cose le ho prese d’ispirazione da Andrea, anche il modo di salire le scale. Lui mi ha aiutato tantissimo nella costruzione del personaggio, non copiandolo, ma nella sua essenza”. 

E così Pranno ha dato corpo e anima ad un personaggio delicato e potente, qualcuno che si sente addosso e dentro, perché: “sono abbastanza convinto che un personaggio più canonico non sia nelle mie corde: più sei lontano dal personaggio che interpreti, più ti dà l’opportunità di scoprire cose di te. Portare in scena Giulio Pranno non credo sarebbe così interessante, proprio per me. Credo sia un fatto di divertimento mio personale”. E di certo, su questa linea straordinaria, Vincent Manzato camminava perfettamente: “Debuttare con Salvatores è stato fantastico: due mesi e mezzo incredibili, forse i più belli della mia vita. Speravo, prima o poi, di fare un film e quando è successo Gabriele è stato un po’ la punta dell’iceberg: è così bravo nella direzione degli attori, non avrei potuto sentirmi così tranquillo, sarei stato molto più sotto pressione se avessi cominciato con qualcuno alle prime armi come me. Lui mi ha lasciato veramente carta bianca, abbiamo visto insieme Oltre il giardino con Peter Sellers per prepararmi, lui cercava qualcosa di poco fisico, mentre io lo sono molto, ma ha visto che avevo un’idea e che la strada fosse coerente e da quel momento mi dirigeva solo quando c’era davvero bisogno di farlo. Dal punto di vista fisico, la scena più complessa è stata la corsa tra i cavalli, perché avevo una bodycam attaccata addosso, e nella mia testa dovevo correre molto velocemente, infatti dopo 2 o 3 ciak sono quasi svenuto, tanto che m’ha poi dato due ore di pausa; un’altra scena difficile, quella della doccia: io sono una persona pudica nella realtà, ma sul set ho scoperto che stare nudo davanti a 60/70 persone della troupe è tutta un’altra emozione, quasi un piacere in fondo. Sono stato sotto la doccia per quattro ore con un perizoma ridottissimo color carne. Poi, per la scena in cui Vincent vede la prima volta il padre Willipoi, ho iniziato a girare alle due di notte, ma evidentemente non funzionava come era scritta e dopo una lunga riflessione Gabriele ha interrotto tutto e l’ha riscritta quasi completamente. La sua bravura sta anche nel riuscire ad adattarsi, quasi improvvisare, sul set: io lì mi battevo sul petto, abbastanza violentemente, e sono proprio scoppiato a piangere, ancora non so il perché, forse toccava delle corde mie personali, ma non mi fermavo più, Valeria Golino mi tranquillizzava, Gabriele mi abbracciava, e io stavo lì a piangere sulla sua spalla, mentre mi rassicurava che era andata bene”. 

Un giovanissimo interprete, 21 anni, genuino ma non ingenuo dalle sue parole, dal viso che tradisce un’età anagrafica forse anche minore, ma con una capacità riflessiva più adulta, qualche volta quasi severa, che lo stesso Giulio riconosce: “La vena autocritica è difficile da tenere a bada, anche per Vincent spesso rientravo in hotel pensando di aver fatto un disastro, solo rivedendomi mi sono piaciuto: l’autocritica mi blocca, mi nega una buona performance talvolta, purtroppo me la porto dietro anche ai provini, se non credo di aver dato il massimo sono uno che si deprime facilmente, perché quelle del lavoro sono le delusioni e le gioie più grandi, per adesso, per me. Dovrei cercare di ridimensionare un po’ questo aspetto”. 

Eppure, quando i propri attori prediletti sono mostri sacri, l’autocritica forse è un balsamo di saggezza, infatti, racconta Pranno che: “Di Caprio è meraviglioso, non ha mai sbagliato un film; poi tra i prediletti anche Philip Seymour Hoffman, Daniel Day-Lewis e un po’ tutti quelli che hanno lavorato con Paul Thomas Anderson; tra gli italiani, sono sempre stato molto ‘affezionato’ a Elio Germano, fantastico, ha sempre preso le cose nel giusto modo, con ruoli molto differenti e senza sbagliare. Lui per me è un modello di riferimento”. 

E si hanno riferimenti soprattutto quando ci si affaccia sulla finestra del futuro, che per Giulio Pranno è anche qualcosa di concreto, infatti è tra gli interpreti di Security di Peter Chelsom: “un thriller e il mio personaggio è molto bello, con un’anima un po’ nera, un po’ corrotta, in una realtà molto chiusa, a Forte dei Marmi, ed è coinvolto in un caso di violenze: siamo un po’ tutti co-protagonisti, ciascuno con spessore, e il mio personaggio sarà un po’ una chiave di lettura del film. Spero sia riuscito, il regista è britannico, non capisco esattamente tutto in inglese, e mi porto dietro la mia autocritica, ma mi dicono che sia riuscito molto bene”. 

Oltre all’uscita del film, per Giulio nel futuro “ci sono tanti fattori quando si fa questo mestiere, anche quello economico, soprattutto iniziando presto come me, cosa che un po’ mi spaventa, perché potrei essere senza lavoro a 28 anni: spero anzitutto di diventare un attore preparato e a cui venga riconosciuta la capacità e il mestiere; vorrei fare una carriera pulita, bei film, bei ruoli, forse qualcosa di quasi impossibile, ma non cerco la notorietà; ci potrà sempre essere il momento in cui sei costretto ad accettare la commedia stupida, ma spero non mi accada”. 

Nicole Bianchi
07 Luglio 2020

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