Damien Chazelle: “Un nuovo film ambientato negli anni ’30”

Il regista del pluripremiato La La Land protagonista, in collegamento streaming da Los Angeles, di uno degli Incontri Ravvicinati, annuncia: "Sto preparando un film collocato tra fine degli anni '20 e


Dopo un ironico “cominciamo bene” del direttore Antonio Monda, per via dell’audio muto del collegamento streaming di Damien Chazelle da Los Angeles, nel pomeriggio di oggi – 20 ottobre – l’Incontro Ravvicinato a lui dedicato s’è scardinato “dando la parola” alle immagini di West Side Story, al cui rientro in sala ancora qualche incertezza di audio ha lasciati in sospeso, fino a che – poco dopo – è cominciata la chiacchierata con il regista di La La Land, un dialogo sul tema del musical cinematografico, basato sulla selezione di 7 film, con un doppio omaggio a Vincent Minnelli. 

West Side Story, l’originale del ’62 (ci sarà un remake firmato Steven Spielberg) di Robert Wise: “L’ho rivisto in una retrospettiva alla Walt Disney Hall subito prima di cominciare La La Land: è diverso dai musical che di solito mi piacciono di più, degli Anni ‘30 e ’50, ma quello di Wise ha uno stile differente, con un montaggio perfetto e un modus molto musicale. Spielberg ha prodotto il mio First Man, e abbiamo parlato del suo remake, nonostante le reazioni negative che gli hanno creato un po’ di angoscia: ci sono cose da migliorare dal primo West Side Story, film di cui io sono innamorato, rappresenta qualcosa nella Storia del musical ma questo non toglie che si possa migliorare, soprattutto pensando al cast che Steven ha in mente e al riferimento al testo originale, e poi nessuno sa muovere la macchina da presa, e seguire i corpi, come Spielberg. Ho visto delle prove della coreografia, ma sul suo cellulare”, commenta Chazelle. 

L’omaggio continua con Les Parapluies de Cherbourg del 1964, diretto Jacques Demy: “L’ho visto la prima volta a 18/19 anni, certamente il film più importante nella mia vita di cinefilo: non ero appassionato di musical prima di vedere questo. Per i primi 10/15minuti pensavo di non poter sopportare un’ora e mezza di persone che cantavano, non era un musical, non era un’opera, ero a disagio, poi piano piano m’è successo qualcosa, m’afferravano le emozioni, quasi una reazione chimica. Alla fine del film ne ero innamorato, sconvolto, confuso: come avevo potuto attraversare questo viaggio interiore con un solo film? Ho cominciato a rivederlo, rivederlo, rivederlo. Il senso di artificio iniziale è quello che te lo fa sentire più vicino, ti lascia più vulnerabile: vieni trasportato in un livello emotivo trascendente, puro. La più grande magia nella Storia del cinema”. 

La chiacchierata tiene il passo con le due opere di Vincent Minnelli: Meet me in St. Louise (1944): “Penso che nell’Era classica degli Studios di Hollywood esca un po’ fuori: basato su un libro autobiografico, parla di persone di classe media; quando cantano e ballano hai un senso di vita domestico: le sorelline più piccole che guardano dalle scale è il mio dettaglio cinematografico preferito del film. Tutte cose della vita comune: nel contesto di Hollywood questo film è un po’ più radicale. Demy per me è il regista più grande di tutti e Minnelli tra gli americani: ha inciso per l’uso del colore, è veramente un maestro del movimento, la fluidità della mdp è complicata, senza essere ostentata. Minnelli aveva un modo informale di fare il musical, come se dirigesse a braccio; mentre The Band Wagon (1953), con la sequenza del ballo a Central Park: “È una delle più grandi scene di musical: all’inizio vedi la fluidità del passaggio che aiuta ad entrare nel numero, quando Fred Astaire e Cyd Charisse camminano nel parco, come una sorta di progressione fino alla parte più intima, in un ingresso ideale, in punta di piedi, che racconta una storia: è un dialogo tra anime che prima non erano riuscite a comunicare e qui non dicono nemmeno una parola, ma ballano e basta. Rispetto a Astaire, Gene Kelly è più muscolare: nella versione cinematografica del danzare, Kelly è stato più innovativo, possedeva una sorta di inquietudine sua che ha spinto avanti il cinema. Ma sono entrambi dei ‘grandi’, non vorrei scegliere”. 

Si continua poi con il bianco e nero di Top Hat (1935) di Mark Sandrich: “In una certa misura, mi potrebbe piacere vivere in un musical. Io mi ci avvicinavo per poterne diventare regista, la magia speciale dei musical con Fred Astaire è che sembra accadano senza sforzo: magari si sono girati 100 ciak differenti, con i piedi sanguinanti, ma la magia è che vedi solo la gioia, sembrano naturali. La mia ballerina preferita è Ginger Rogers, perché non ‘recita’ solo con i piedi, ma ha un volto pieno di emozioni, che arricchisce le trame dei film: lei, la miglior attrice tra i danzatori, per la recitazione vera e propria”. 

E poi l’icona del musical, Singin’ in the rain (1952) di Stanley Donen e Gene Kelly, in cui “Kelly non era solo il coreografo, certamente era di più: è difficile capire la linea di demarcazione, c’è qualcosa di molto speciale nella loro collaborazione. Penso siano stati dei veri collaboratori: i film di Donen senza Kelly hanno lo stesso virtuosismo, però sì, entrambi hanno fatto il loro lavoro migliore insieme. Uno dei più grandi musical e uno dei più grandi film: fa parte di quel gruppetto di film della Hollywood degli anni d’oro”. 

La conclusione dell’Incontro con Damien Chazelle termina con la sequenza di un suo film, del suo musical La La Land (2016), per cui, dice l’autore: “Non è stato facile convincere Hollywood a fare un musical oggi. Volevo fare un musical con la musica scritta dal mio compagno di stanza al college: per Hollywood non era attraente. Il cast finale era quello che sognavo… quando stavo scrivendo la sceneggiatura, però non sembrava realistico averli nel film: solo dopo alcuni anni di difficoltà ha deciso di farlo con un budget più piccolo e senza un grande cast e ha funzionato molto meglio, fino a riuscire a convincere Ryan e Emma a rischiare con me. Ho cercato di spiegargli l’idea, non dovevano fingere di essere danzatori, ma essere personali reali, un po’ sullo stile di Demy: essere percepiti come imperfetti e contemporanei, senza uno stile esagerato e molto molto recitato. La sensazione che volevo era un po’ quella dell’improvvisazione. Non c’era motivo di fidarsi di me, e Ryan credo abbia accettato perché aveva già lavorato con Emma e viceversa e così hanno accettato di gettarsi insieme. Nessuno come qualcuno che vuol fare musical ha un posto nel mio cuore!”.  

L’Incontro si chiude con Chazelle che dice: “sto preparando un film collocato sulla fine degli anni ’20 e inizio anni ’30, speriamo sia il prossimo; e il mio sogno è venire a Roma”, conferma, al rinnovato invito del direttore Monda, per la prossima edizione della Festa. 

Nicole Bianchi
20 Ottobre 2020

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