‘Movida’, la desolazione della provincia e la metafora delle proprie radici

‘Movida’, la desolazione della provincia e la metafora delle proprie radici


La parola evoca il pullulare della vita notturna, ma Alessandro Padovani la sceglie come vocabolo a contrasto. Movida è il titolo del suo docu-film d’esordio – vincitore del 14° SalinaDocFest – in cui affida la scena a bambini e adolescenti, per raccontare la realtà di una provincia italiana in via di spopolamento: l’opera è presente alla Festa nel programma di Alice nella Città

Feltre, provincia di Belluno, Veneto. “Movida” si chiama una giostra, una delle pochissime attrazioni della zona, incorniciata dalle Dolomiti. Così come la foresta conta i suoi alberi abbattuti, sui cui Padovani torna più volte con la mdp a restituire bellezza e desolazione, la popolazione si riduce, più di qualcuno cerca le occasioni lontano, altrove. 

La sceneggiatura, scritta con Lorenzo Bagnatori, si concentra – ad onor del titolo – sulla vitalità della generazione recente: bambini entusiasti giocano con armi di legno nella foresta o si dedicano alla pesca lacustre; un adolescente collabora con il padre pastore, mentre si domanda se quello sia il suo futuro; altri vitali coetanei costruiscono tricicli a motore. Fino al momento in cui uno di loro annuncia l’imminente trasferimento, con la sua famiglia, a Bologna: nonostante la desolazione insita nel luogo, i protagonisti che vivono lì, seppur giovani e giovanissimi, in fondo non avvertono davvero il richiamo dell’esotico rispetto alla loro piccola dimensione, ma riescono ad animare il loro cosmo, tanto che la comunicazione dell’amico che sta per lasciare Feltre desta non solo dispiacere affettivo, ma innesca anche una riflessione sul concetto di luogo natale, di appartenenza

Un film di molta suggestione – in cui la visione del paesaggio concorre – e poca parola: un racconto reale e poetico, con un misterioso personaggio di finzione – l’attrice Grazia Capraro – che in principio appare nuda, in posizione fetale, abbracciata dalla terra smossa del bosco e dai rami delle piante, come ad incarnare un feto, un’appartenenza alla madre terra, a quella terra, per poi errare tra edifici abbandonati riaccendendo la memoria, rammentata con l’uso di filmati amatoriali e di repertorio. 

Nicole Bianchi
23 Ottobre 2020

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