‘La stanza’, Lodovichi: “doveva essere un doc sugli hikikomori”

‘La stanza’, Lodovichi: “doveva essere un doc sugli hikikomori”


Una “sposa fantasma” – Camilla Filippi/Stella, non nell’essenza quanto nell’aspetto, dell’abito candido indossato con il viso solcato di trucco scuro, mentre lei, immacolata nella cromìa dell’abbigliamento, sta in bilico su una finestra, abbracciata dal colore scurissimo del tendaggio e della luce interna circostanti, affacciata sull’aria aperta piovosa, densamente nebbiosa. Un gioco chiaroscurale – con la sofisticata fotografia di Timoty Aliprandi e la misteriosa scenografia di Massimiliano Sturiale – dall’evidente metafora, la purezza e l’oscuro, che convivono, nel contesto e nell’anima, in cui la casa si fa ennesima protagonista insieme agli interpreti, una casa connotata secondo un immaginario tipicamente orrorifico: “L’idea era quella di raccontare una casa isolata, piccola e indipendente: entrare nello stereotipo è stato un po’ giocare; la casa è stata tutta disegnata e costruita negli Studi Videa, questo mi ha dato la possibilità di caratterizzare gli ambienti in modo simbolico, tematico, come con le piccole crepe sui muri. L’estetica e il gusto artistico sono Liberty e Art Nouveau, per essere più prossimi al gusto europeo, italiano”, ha spiegato Stefano Lodovichi, che approfondisce la genesi del progetto: “Questo film è stato scritto e pensato alla lunga anche su Zoom, durante il lockdown della primavera. È nato inizialmente come documentario – si chiamava Chiusi in casa -, era pensato sugli hikikomori (dal giapponese: “stare in disparte”, ndr), i ragazzi chiusi in casa: ci ho lavorato più di un anno, ma per l’argomento molto complesso non sono riuscito a portarlo avanti, e quindi ho deciso di trasformarlo in un film di finzione. La voglia era quella di provare a raccontare la famiglia di oggi, per la prima volta cercando di raccontare un po’ la difficoltà del diventare adulto, e la voglia di confrontarsi con un genitore. I modelli sono quelli classici, altissimi, da Psyco a Shining ai film di Shyamalan, in cui la casa è archetipo per scoprire i segreti delle famiglie e il farlo di giorno, con le inquietudini sotto la luce del sole – quando invece gli incubi arrivano di notte – sembrava più efficace”.  

Ne La stanza, appena dopo il prologo, all’improvviso il campanello comincia a suonare, continuativo e acuto, fastidioso, e Stella viene scossa dal suono, e corre, fino alla porta d’ingresso dietro cui si para un uomo – Guido Caprino/Giulio, che si scusa per l’inconveniente dell’inceppo acustico e si presenta come avventore del b&b, cosa che la dimora non è più. 

Ma chi è Giulio? E Sandro, il marito di Stella? La stanza è un luogo, che determina unità di racconto, ma scaturisce anche interrogativi multipli, atti a sfaccettare la trama venata di mistero e inquietudine, con la scia del Giappone sullo sfondo. Questo mentre il campanello suona ancora, e questa volta dietro la porta c’è Edoardo Pesce/Sandro. L’intera sequenza specifica “balla” sulle note vivaci e simboliche di Stella Stai di Umberto Tozzi, in bilico incerto tra verità e bugia. 

“Gli hikikomori mi hanno permesso di approfondire il tema della reclusione volontaria, il non riuscire a confrontarsi con il mondo esterno: tu ti fai un’idea di te stesso e quando ti vai a scontrare con la realtà vieni totalmente disilluso e ne esci a pezzi, così gli hikikomori non riescono a sopravvivere, entrando in un guscio sempre più piccolo, la propria stanza. Un mondo affascinante, che però non può esistere senza pensare al rapporto con il mondo genitoriale e scolastico. Essere genitori, cercare di educare qualcuno, è qualcosa di molto complesso: ma mi sono rivisto, da fuori, come figlio, con le ‘accuse’ ai miei genitori, e in realtà, rileggendole da adulti, significa perdonare i genitori, confrontarsi tra adulti. I genitori sbagliano, ma se noi li vedessimo con occhi adulti, capiremmo essere errori perdonabili”, continua Lodovichi. “Io sono dell’83 e sono cresciuto con mia mamma che mi faceva vedere la commedia all’italiana e mio padre con cui guardavo Schwarzenegger, così sono uscito io, un mezzo Frankenstein, come altri registi italiani della mia generazione, per cui siamo alla ricerca di emozioni: non posso non pensare a Spielberg, a percorsi in cui i personaggi scoprono storie e si emozionano, e il cinema di genere mi permette uno schema da esplorare, e questo film penso possa essere un ponte tra il cinema d’autore e il cinema d’intrattenimento, per cui non è nemmeno un horror, ma un thriller psicologico; già con In fondo al bosco entravo nel torbido famigliare, e sempre con l’aspetto psicologico, ma l’intrattenimento è quello che mi interessa mantenere”. 

Un film, questo, possibile grazie al gioco inquietante tra il trio centrale degli attori: “Mi sono preparato come sempre, dando vita ai segmenti della sceneggiatura, seguendo la storia: abbiamo riflettuto e parlato a lungo. Dal punto di vista dell’obiettivo del personaggio è abbastanza semplice: l’infanzia è il luogo dei nostri ricordi, che diventano anche ossessivi, e sono l’alimento fondamentale del personaggio di Sandro, che porta in superficie gli elementi del passato, per cui c’è una sorta di processo alle intenzioni: è chiaro che sia controverso, e in questo senso la sceneggiatura era molto interessante, semina bene in tema di memoria. La cosa di arrivare in un modo e essere un altro, per un personaggio, è un dono per un attore”, riflette Guido Caprino

Mentre Edoardo Pesce racconta come “da piccolo ho visto Nightmare e per un anno non mi sono specchiato, mi sono traumatizzato da solo, questo è il mio rapporto con il genere. Non è un genere che mi piace. Con questo personaggio, però, Lodovichi mi ha proposto Sandro, di cui sono stato contentissimo, anche per lavorare in maniera più approfondita con lui: ho sentito la sceneggiatura come una pièce teatrale e il personaggio era un’occasione per lavorare su un ruolo pavido, potrebbe essere uno dei ‘mostri’ di Risi, ma meno comico, per cui ho lavorato un pochino sulla debolezza, sul non essere proprio pulito nel rapporto che ha con lei”. 

Stella , ovvero Camilla Filippi: “Sono madre e figlia nella vita, e le azioni dei genitori si riflettono sugli adulti che saremo: nel film è evidente come gli errori, amplificati in un mondo non reale, abbiano conseguenze gigantesche, e la cosa ti fa riflettere. Certo, il film è un estremo”.

La stanza esce in esclusiva su Amazon Prime Video dal 4 gennaio e, rispetto all’uscita in piattaforma, Stefano Lodovichi, spiega: “non sento differenze in scrittura e realizzazione, non ho un differente approccio alle metodologie del linguaggio registico; credo la piattaforma in questo momento sia l’unica via, ma sia anche l’opportunità per intrattenere. Non è un accontentarsi, perché raccontare storie alle persone è quello che conta, anche facendole entrare direttamente nelle case delle persone”. 

Nicole Bianchi
21 Dicembre 2020

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