‘Forest’, antropologia soffocante e ammaliante

‘Forest’, antropologia soffocante e ammaliante


L’opera ungherese Forest – I See You Everywhere (Rengeteg – mindenhol látlak) è un prisma di psicologie, interessanti quanto oscure, affascinati quanto inquietanti: ciò che sembra non è detto che sia, ciò che ha la forma apparente dell’innocenza non esclude di essere solo un travestimento più ombroso. 

Il film è costruito in “quadri” dinamici, momenti quasi sempre domestici, ciascuno con protagonisti uno o più soggetti, che calamitano e un pò disturbano, che non hanno quasi mai un profilo netto, ma sagome emotive fluide, come d’altronde la psicologia umana spesso può essere. L’efficace abilità degli interpreti sta nel riuscire a restituire le caratteristiche – spesso con sfumatura patologica – di compulsione, insicurezza, rabbia, angoscia, con una recitazione credibile, che ricorre alla mimica facciale, a quella posturale, spesso al movimento oculare o al sudore della fronte. 

Il film potrebbe essere una declinazione possibile – più buia e angosciante dell’eventuale eco cinematografico italiano – di una magnifica presenza, con figure certamente assenti che s’insinuano nelle conversazioni e nelle quotidianità di coppie e famiglie: un anziano taciturno, il cui silenzio potrebbe essere sonno eterno? L’improbabile monologo di un uomo con un guardaroba: perché? Le dinamiche madre-figlio, tra pedanterie e elucubrazioni, come nella sequenza in cui si teorizza che Dio possa essere una sorta di Gandalf. 

E’ un film sull’animo umano, sulle sue possibili derive – siano esse buffe o criptiche -, sulla delicatissima consistenza della psiche, in cui – là, dove la solitudine riesce ad insinuarsi – la questione si fa ancor più complessa. E l’autore usa lo strumento del dialogo, nella sua dinamica più febbrile, quale morsa per una costante tensione della scena, restituendo senso di claustrofobia, abilità di ammaliare, circolo “diabolico” che un pò soffoca, ma lascia aperta ogni possibilità… di lettura. 

Il regista, Bence Fliegauf (Milky Way – Pardo d’Oro a Locarno; Just the Wind – Jury Grand Prix a Berlino) con Forest – I See You Everywhere, film in Concorso, rinnova quindi il proprio interesse per l’analisi antropologica, già resa palese nel suo film d’esordio, Forest (2003), confermando – con la scelta del titolo di quest’opera alla Berlinale 2021 – anche un continuum mai interrotto, evidentemente. 

Un film ricchissimo e “poverissimo” al contempo: prezioso per le ispirazioni, da Cassavetes a Raymond Carver, seppur sia stato realizzo con una disponibilità di budget irrisoria

Nicole Bianchi
03 Marzo 2021

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