La seconda donna dell’Oscar è nata a Pechino

Nomadland, già Leone d'oro a Venezia, ha fatto vincere la regista Chloe Zhao, nata a Pechino, entrata nella storia del cinema, perché è la prima non bianca e la seconda donna a vincere per la regia


Delusione italiana agli Oscar: né Laura Pausini per Io Sì, né Pinocchio di Matteo Garrone per trucco e costumi hanno portato a casa le statuette. Con ululato della sua protagonista, l’anticonformista Frances McDormand ha vinto per la terza volta, mentre il film che ha prodotto Nomadland, Leone d’oro a Venezia, ha ottenuto tre Oscar ‘storici’ vincendo come miglior film e facendo vincere la regista Chloe Zhao, nata a Pechino nel 1982, entrata nella storia del cinema, perché è la prima non bianca e la seconda donna a vincere per la regia dopo Kathryn Bigelow (The Hurt Locker, 2010). Nel 2021 la attende un film di Superoi prodotto dalla Marvel e speriamo che non perda del tutto il suo tocco indie. 

Oltre tre ore di cerimonia e un finale a sorpresa: davanti a una platea di star in gran maggioranza afroamericane, Anthony Hopkins ha surclassato il favorito della vigilia Chadwick Boseman (Ma Rainey’s Black Bottom) prematuramente scomparso a 43 anni per un cancro. A vincere il riconoscimento per la recitazione è stato l’83enne attore gallese di The Father che aveva già vinto nel 1994 per Il silenzio degli Innocenti. Hopkins non ha ritirato di persona il premio mentre l’atteso discorso a suo nome di Olivia Colman, coprotagonista in The Father Nulla è come sembra, da Londra non si è mai materializzato. Piccolo giallo mentre sulla serata in diretta dalla Union Station di Los Angeles calava troppo bruscamente il sipario. I fan di Chadwick Boseman sono insorti su Twitter. “Hanno finito con il premio che sarebbe dovuto andare a Chadwick e lo hanno dato a uno che neanche c’era”, si leggeva sul social.

Migliori attori non protagonisti sono Daniel Kaluuya di Judas and the Black Messiah e la tostissima sud coreana Yuh-jung Youn di Minari che, dopo averlo fatto ai Bafta, è tornata a rimproverare gli occidentali che non sanno dire come si chiama. Miglior film internazionale è stato Un altro giro di Thomas Vinterberg: il regista danese non è riuscito a trattenere le lacrime pensando alla figlia Ida, morta in un incidente stradale mentre lui cominciava la lavorazione.

Miglior film d’animazione dell’anno è Soul. Confermando le attese della vigilia, miglior documentario è stato il tenerissimo Il mio amico in fondo al mare.

Il Covid ha dettato le regole di una cerimonia inconsueta, con le mascherine indossate non appena le telecamere si allontanavano e svariate location (oltre a Los Angeles, Londra, Parigi, Sydney e Roma) ma niente Zoom. A nulla è valsa la bacchetta magica portata con sé da Laura Pausini che correva per la migliore canzone originale con la musicista Diane Warren, l’americana al dodicesimo Oscar mancato.

Tra le grandi sconfitte della 93esima notte delle stelle c’è stata anche Glenn Close, che ha eguagliato il primato negativo di Peter O’Toole con otto candidature nessuna delle quali diventata vittoria.

“In Memoriam” quest’anno era affollato di nomi illustri, tra cui Ennio Morricone e Giuseppe Rotunno, oltre a Sean Connery, Michel Piccoli, Kim Ki Duk e Boseman.

15 su 23 statuette sono andate a film distribuiti simultaneamente su servizi in streaming tra cui Nomadland, dal 30 aprile su Disney+ (e anche nelle sale italiane riaperte proprio dal 26 aprile): “Guardatelo sullo schermo più grande possibile e poi tornate al cinema”, ha esortato McDormand salita sul palco assieme a Swankie e Linda May, due delle “vere nomadi” ritratte nel film di Zhao. Sullo sfondo di tutto, oltre alla pandemia, le ingiustizie sociali e razziali. Regina King, nel monologo di apertura, ha fatto allusione alla condanna del poliziotto di Minneapolis Derek Chauvin per l’uccisione dell’afro-americano George Floyd, mentre Two Distant Strangers su un agente bianco che uccide un nero ha vinto l’Oscar nella categoria degli short.

E non sono mancate le stranezze in questa cerimonia non ortodossa. Il galà, come si diceva, si è chiuso bruscamente, come se ci fosse una interruzione tecnica e l’ultimo premio non è stato, come sempre avviene, quello al miglior film ma quello per i migliori attori protagonisti.

Mank di Netflix, che aveva dominato le candidature, ben 10, ne ha convertite solo due, per scenografia e fotografia. Tuttavia Netflix esce dagli Oscar con sette vittorie. Tra le delusioni Il Processo ai Chicago 7, l’acclamato film di Aaron Sorkin, che ha vinto il premio SAG Ensemble: arrivato con sei nomination è stato l’unico candidato al miglior film che è andato a casa a mani vuote. Sorkin intanto sta girando Being the Ricardos con i vincitori dell’Oscar Nicole Kidman, Javier Bardem e J.K. Simmons. Altra delusione: One night in Miami, il debutto alla regia di Regina King aveva tre candidature ma su una in particolare le previsioni della vigilia si erano concentrate, quelle per la miglior canzone originale “Speak Now”, di Leslie Odom Jr. e Sam Ashworthv mentre il premio è andato a “Fight for You” di Judas and the Black Messiah, con musica e testi di HER. Lasciando a bocca asciutta anche la nostra Laura Pausini.

Cristiana Paternò
26 Aprile 2021

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