‘Rifkin’s Festival’: l’omaggio di Woody a Bergman e Fellini

E' coprodotto anche dall'italiana Wildside, il nuovo film del prolifico ottuagenario Woody Allen, Rifkin's Festival, che arriva da noi #soloalcinema il 6 maggio con Vision Distributionval


E’ coprodotto anche dall’italiana Wildside, con gli spagnoli, il nuovo film del prolifico ottuagenario Woody Allen, Rifkin’s Festival, che arriva da noi #soloalcinema il 6 maggio con Vision Distribution, mentre in patria potrebbe non uscire mai in seguito alle accuse mosse dalla figlia adottiva Dylan (e ribadite di recente nella docuserie Allen vs Farrow andata in onda su HBO): una scia oscura che continua a perseguitare il regista e intellettuale nonostante l’inchiesta giudiziaria si fosse chiusa con un nulla di fatto. Del resto anche il suo film precedente, Un giorno di pioggia a New York, dopo la rinuncia di Amazon a distribuirlo, è arrivato in sala in America solo a fine 2020, con una piccola distribuzione indipendente. 

E’ uno di quei casi, purtroppo, in cui vicende private e professionali si intersecano in un paese come l’America, sempre più ossessionato dalle campagne moralizzatrici. Woody però non si arrende. Dopo aver dato alle stampe la succosa autobiografia A proposito di niente (La Nave di Teseo), non manca all’appuntamento con il suo pubblico che continua a seguirlo e idolatrarlo anche in una fase crepuscolare come questa. Ed ecco dunque una commedia triste che unisce il sentimento della morte e del declino al pio desiderio di rinnovamento attraverso una nuova storia sentimentale. Il tutto condito dalle sue solite ossessioni e da una robusta dose di cinefilia.

Illuminato dalla fotografia di Vittorio Storaro e girato, come molto suo cinema recente, in trasferta europea, Rifkin’s Festival è un film più che mai autoreferenziale, con al centro un chiaro alter ego come Wallace Shawn, intellettuale bruttino e tormentato, introverso e megalomane.

Shawn è Mort Rifkin, settantenne ex professore di cinema, ipocondriaco e nevrotico, che da tempo immemore lavora alla stesura di un romanzo perfetto, aspirando a eguagliare come minimo Dostoevskij: inutile dire che il romanzo rimane eternamente incompiuto. Mort ha accompagnato al Festival di San Sebastian sua moglie Sue (Gina Gershon), addetta stampa rampante e sexy del giovane ed egocentrico regista francese Philippe (Louis Garrel), un pallone gonfiato, che pensa davvero di portare la pace tra israeliani e palestinesi con il suo prossimo film. Mort non perde occasione per denigrarlo mentre assiste impotente alle scene di seduzione tra la moglie e il giovanotto, ma intanto lui stesso inizia a corteggiare una cardiologa (Elena Anaya) resa infelice dal marito pittore e donnaiolo (Sergi López). Soprattutto Mort sogna tantissimo e i suoi sogni, in bianco e nero, sono nello stile dei maestri che ammira: Bergman, Fellini, Orson Welles, Godard, Truffaut e Buñuel. C’è addirittura una lunga sequenza ispirata a 8 1/2 e c’è un dialogo simil-bergmaniano – partita a scacchi compresa – con la morte impersonata con gusto da Christoph Waltz che dà consigli di lunga vita: “Fare attività fisica e mangiare frutta e verdura”. 

“Realizzare Rifkin’s Festival è stata una grande gioia, soprattutto grazie a Vittorio Storaro e alla sintonia che ci ha legati durante le riprese. Spero che questo film, in un periodo così difficile, restituisca al pubblico il grande piacere di tornare in sala”, ha dichiarato il cineasta newyorchese. Pronto a prendersi la sua vendetta contro Hollywood in una battuta: “Con il lieto fine gli americani hanno illuso il pubblico, per fortuna sono arrivati gli europei a rendere il cinema adulto”.

Cristiana Paternò
30 Aprile 2021

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