Dalla Corea una ‘Madre’ coraggio che fa paura

L'exploit internazionale di Bong Joon-ho con Parasite - Palma d’Oro al Festival di Cannes e trionfatore agli Oscar 2020 - ha gettato una nuova luce su tutta la carriera del cineasta sudcoreano


Il grande successo internazionale di Bong Joon-ho con Parasite – Palma d’Oro al Festival di Cannes e Oscar 2020 come Miglior Film, Miglior Regista, Miglior Sceneggiatura Originale, Miglior Film Straniero – ha gettato una nuova luce su tutta la carriera del cineasta sudcoreano che ha al suo attivo sette lungometraggi, anche se spesso sconosciuti da noi. Ed ecco dunque che dal 1° luglio arriva in sala con Pier Francesco Aiello per PFA Films ed Emme Cinematografica, Madre, presentato 12 anni fa a Cannes (Un Certain Regard) che si è già guadagnato il plauso della critica come rivisitazione del thriller hitchcockiano.

Ma, rispetto all’indiscusso maestro del brivido, Bong aggiunge una sua cifra fatta di ironia e paradossi, di cambi di rotta e spaesanti contraddizioni narrative. Al centro della vicenda è l’attrice Kim Hye-ja, veterana dell’industria cinematografica e televisiva coreana: “Era il 2004 quando un giovane regista venne a cercarmi, dicendo di voler fare un film con me. Fu così che conobbi Bong Joon-ho”, racconta. La diva coreana, dal volto imperturbabile e dall’età indefinibile, incarna una madre, senza nome, che vive un rapporto simbiotico e quasi incestuoso con l’unico figlio, un ventenne enigmatico, forse ritardato. Do-joon (interpretato da Won Bin) ha 27 anni ed è un fannullone, interessato solo alle ragazze. Lo mantiene la madre, erborista ed esperta di agopuntura, arte che pratica senza averne l’autorizzazione. Una notte il giovanotto torna a casa ubriaco fradicio, dopo aver passato la serata a bere in un bar e dopo aver seguito una studentessa nei meandri della cittadina. La mattina dopo viene accusato del suo omicidio. I poliziotti lo vogliono incastrare in fretta, anche se hanno come unico indizio una pallina da golf con la sua firma trovata sulla scena del crimine: il corpo della giovane è stato esposto su una terrazza in modo che fosse visibile da tutti i tetti circostanti, come se l’omicida fosse un esibizionista o forse nella speranza che venisse soccorsa. Do-Joon sembra il perfetto capro espiatorio per chiudere la vicenda. 

Ma c’è un ma. La madre. Lei crede fermamente nella sua innocenza e qui comincia la seconda parte del film, quella di gran lunga più avvincente. Scartato un avvocato venale e poco efficiente, la donna comincia a indagare da sola sul passato della vittima che scopre pronta a “vendersi” per una ciotola di riso. Non si ferma davanti a nulla, non si vergogna di andare al funerale dell’assassinata, non esita a interrogare i compagni di scuola e inseguire i poliziotti, cercando di convincerli, non viene dissuasa neppure dall’atteggiamento a dir poco ambiguo del figlio. E’ inamovibile nel suo teorema di innocenza. 

Spiega il regista, che sarà presidente della giuria di Venezia 2021: “Tutti hanno una madre, e tutti hanno un’idea precisa di cosa sia una madre: è la persona che ciascuno di noi ama di più, la più gentile, e al contempo la più irritante. Sono molti i sentimenti che si contrappongono quando si ha a che fare con questa figura, e questo perché la relazione tra un figlio e sua madre è alla base di tutte le relazioni umane. Innumerevoli romanzi, film e programmi televisivi si sono avvicinati alla figura materna, ma io volevo esplorarla in un modo che fosse mio peculiare, funzionale a scoprire dove potevo portarla a livello cinematografico, per poi spingerla fino all’estremo. Volevo fare un film che scavasse in profondità, in ciò che è caldo e potente, come il cuore di una palla di fuoco. In questo senso, Madre è una sfida cinematografica, perché i miei film precedenti erano tutte storie che tendevano a estendersi: se un caso di omicidio (Memorie di un assassino – Memories of Murder) mi ha portato a parlare degli anni ’80 e della Corea, e l’apparizione di un mostro (The Host), mi ha spinto a parlare di una famiglia, della società coreana e degli Stati Uniti, Madre è, al contrario, un film dove tutte le forze convergono verso il cuore delle cose. Avere a che fare con la figura materna è un déjà vu ma vedo questo film come un nuovo approccio e spero che venga percepito anche dagli spettatori, come qualcosa di familiare ma estraneo”. E naturalmente, senza svelare gli sviluppi del plot e i diversi colpi di scena, possiamo ben dire che Madre ci porta in territori inesplorati e davvero inquietanti rispetto alla figura tradizionale della bontà materna. E senza mai rinunciare all’ironia. 

Bong Joon-ho è attualmente impegnato su due sceneggiature. Un film coreano ambientato a Seoul con elementi di horror e azione; un film in inglese, drammatico, basato su eventi realmente accaduti nel 2016, che dovrebbe essere ambientato metà negli Stati Uniti e metà in Inghilterra. “Il primo – precisa il regista – potrebbe essere paragonato a Parasite, come atmosfere. Il secondo a Madre“. 

Cristiana Paternò
11 Giugno 2021

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