‘Appunti di un venditore di donne’: Faletti rivive nel film di Resinaro

Il film ritrae fedelmente le atmosfere cupe e fumose della Milano da bere, dove Vallanzasca comanda la mala, nei giorni bui del rapimento dell’onorevole Aldo Moro


Appunti di un venditore di donne è il nuovo film di Fabio Resinaro tratto dall’omonimo bestseller di Giorgio Faletti, in prima visione assoluta su Sky Cinema da venerdì 25 giugno. La pellicola è prodotta da Èliseo entertainment e Rai Cinema e nella nuova edizione a cura di La Nave di Teseo. Il film ritrae fedelmente le atmosfere cupe e fumose della Milano da bere, dove Vallanzasca comanda la mala, nei giorni bui del rapimento dell’onorevole Aldo Moro. Una mattina, all’uscita dall’Ascot Club dove ha trascorso la notte, tra giochi d’azzardo e sostanze stupefacenti, Bravo, il venditore di donne incontra Carla…

Protagonisti sono Mario Sgueglia, Miriam Dalmazio, Libero De Rienzo, Paolo Rossi, Francesco Montanari, Antonio Gerardi, Claudio Bigagli e Michele Placido

“Pensavo che i romanzi di Faletti non sarebbero stai mai accessibili a me, perché erano tutti di De Laurentiis – dice Barbareschi per Èliseo – ma questo fortunatamente no. Questo libro mi ha colpito, aveva dentro qualcosa in più, un archetipo fortissimo, il tema di Crono che mangia i figli. Il confronto finale mi ha colpito tantissimo. E’ un tema che appartiene alla mia generazione e anche a quella dopo la mia. I nostri padri sono stati grandi, hanno fatto la guerra, hanno fatto il paese, ma magari sono stati pessimi padri e consiglieri. Hanno fiancheggiato il terrorismo per accrescere il proprio potere, nel libro c’è anche questo e soprattutto un incipit terribile. “Io mi chiamo Bravo e non ho il cazzo”. E’ un uomo che è stato evirato in un atto di violenza terribile e questo racconta una generazione. Resinaro ne ha capito l’importanza. Ha rifiutato l’aiuto di un altro sceneggiatore, che io volevo affiancargli. Era venerdì, gli ho detto: “pensaci nel weekend”. La domenica sera mi ha chiamato e mi ha detto “guarda la posta. Ho scritto la sceneggiatura”. Ed era un’ottima prima stesura. Questo è il suo talento, non solo la regia ma anche la scrittura. Faccio scelte esclusivamente editoriali, posso fare film piccolissimi come Thanks for Vaselina o lavorare con Polanski. L’unica differenza è tra progetti che mi motivano e altri non importanti. Mio padre mi disse che non mi avrebbe dato una lira se non mi fossi guadagnato da vivere da solo, e ci siamo detti reciprocamente che ci saremmo voluti vedere morti. Un bello scambio.

“Un articolo sul Corriere ha da poco ripercorso la mia vita: Il collegio, la polizia, l’arrivo a Roma, poi La piovra… tutto quello che ho vissuto come uomo prima che come attore – dice Placido – Come attore sono anomalo, leggo poco i copioni e parlo tanto con regista. Resinaro è un talento attuale e futuro del nostro cinema. Io ho conosciuto un po’ tutti. Anche oggi i padri mangiano i figli. Ne ho cinque di cui tre vogliono fare gli artisti, tre lo fanno anche bene, non sono geloso ma in fondo un po’ mi rode. Loro rappresentano il futuro e io ho un piede nella fossa. D’altro canto anche i figli vogliono affossare il padre.  C’è anche tanta politica nel film. Un periodo che rimpiango anche un po’, oggi se ne parla pochissimo, di politica. Il copione mi è arrivato in effetti da De Laurentiis, mi avevano chiesto di farne una regia. Ma non ero pronto. Resinaro è tecnologicamente molto più preparato, dialoga molto con gli attori, dicendo poche cose ma giuste. Nell’euforia di quella Milano trovavi ai tavoli politici, mafiosi, artisti, ladri e puttane. Ma non c’era moralismo, c’era euforia”.

“Il romanzo crea atmosfere precise, particolari, ben descritte – commenta il regista Resinaro. Normalmente quando si fa un film d’epoca ci si ritrova a girare spesso contro i muri o l’ingresso, con campi visivi limitati perché non ci si può permettere l’allestimento. Milano è devastata dalla modernità, quindi io ho scelto di girare come se fossimo negli anni ’70, sapendo che poi saremmo dovuti intervenire con gli effetti speciali per ricostruire i fondali, ma la sensazione di immersione in quegli anni secondo me è riuscita. Ho una certa esperienza di VFX e me ne sono potuto occupare in prima persona. Non ci sono limiti fisici nell’osservatore. Bravo attraversa strade e incroci, nella Milano da bere al neon, stilizzata ed esagerata per creare compattezza visiva. E le atmosfere sono tematiche, è un film notturno, che parla di criminali e disobbedienti. I nostri eroi sono disobbedienti, anche se il protagonista è un infiltrato. Ha un piano, e a me piacciono i protagonisti con un piano per rivoluzionare il sistema che li opprime. Cerco sempre di riportare le tematiche in ogni singola immagine. Per questo ho insistito a volerlo scrivere. Sapevo di aver capito la storia e il personaggio, lo scontro generazionale, la metafora dei padri che hanno schiacciato i figli. Un sistema opprimente che è lo stato naturale delle cose. Il potere, avevo tutto chiaro. Sono purezze che si incontrano per contrastare lo sporco che li circondano. Ho riguardato moltissimi poliziotteschi degli anni ’70 e credo che anche Faletti ne avesse in mente due, tre, ci sono situazioni tipiche di quell’immaginario, o forse anche solo di quell’epoca. Ma la mia intenzione era quella di girare negli anni ’70, riproponendo quello che avrebbero girato quei registi, ma con le tecniche di oggi”.

“Il divieto assoluto è sempre quello di giudicare il personaggio – dichiara Sgueglia – Sono partito da un uomo che ha fatto la sua forza della sua debolezza, non modificando il suo carattere. Bravo applica la catarsi. Attraverso quello che non può più fare diventa veicolo per portare piacere a uomini che non hanno il coraggio di farlo da soli. Il piano di Bravo deve essere arrivato nella sua mente. Non è nato nel momento in cui lui diventa quello che è. Il piano si crea, ma all’inizio è solo un modo per fare della sua debolezza la sua forza. Doveva nascondersi, doveva fuggire e invece trova il modo di esistere. Mi ha aiutato Resinaro, eravamo collegati, spesso ci trovavamo a dirci al contempo le medesime cose”.

“Io faccio della mia forza la mia debolezza, invece – aggiunge Dalmazio – Il personaggio agisce su più piani e viene fregata dallo sguardo. Quello che ritrovavo spesso, anche nel libro, era lo sguardo. Per esempio loro vivono un imprevisto, un innamoramento in cui non possono fare sesso se non attraverso lo sguardo. La ricerca della verità attraverso gli occhi, forse era una visione importante per Faletti, pensiamo anche al titolo di un altro suo romanzo, ‘Niente di vero tranne gli occhi’. La cosa più importante è stata l’analisi del testo. E’ un personaggio particolare che finge di essere tante cose, dovevo darle un significato specifico per ogni frase. Inoltre è stata l’occasione per allontanarmi dalla Sicilia e avvicinarmi alla Milano di Notte del ’78. Sono nata dieci anni dopo e ho scoperto un’Italia diversa.

Felicissima anche Roberta Bellesini Faletti, alla quale è stata sottoposta la sceneggiatura. “Mi è piaciuta molto ed è davvero fedele al testo. Non è facile riprodurre i romanzi di Giorgio. Conoscevo di nome Fabio Resinaro perché ero rimasta molto colpita da Mine Dolceroma. È un regista che ha coraggio, ama sperimentare. Ho trovato sul set una bellissima atmosfera e tutti molto, molto motivati, in tanti conoscevano Giorgio, c’è un ingrediente in più. Un vero rapporto affettivo”.

“Ho conosciuto il mio personaggio – chiude Paolo Rossi – aveva un nome diverso, non Daytona, ma LeMans, ed era grosso e grasso. Ho conosciuto anche bene Faletti, lavorando cinque anni al locale Derby, Giorgio era eclettico, scriveva, faceva il cantautore, faceva cabaret. Oggi la chiamano stand up comedy, allora non avevamo l’asta del microfono. Era un ambiente borderline e questo certamente ha influito sulla sua fantasia, al confine tra gente bene e ragazzi non tanto bravi. Era abbastanza tipico dell’ambiente milanese. C’era una parte della malavita chiamata ‘la leggera’, quella più spiritosa, poi in due anni tutto cambiò. Ero presente anche alla famosa ‘retata’. Mi regalarono anche un cane lupo della narcotici”.

Andrea Guglielmino
21 Giugno 2021

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