‘Al di là del bene e del male’ senza tagli ma vietato ai minori

La 57ma Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro si chiude con Al di là del bene e del male, il film di Liliana Cavani del 1977 restaurato da CSC - Cineteca Nazionale e Luce Cinecittà


PESARO – La 57ma Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro si chiude con Al di là del bene e del male, il film di Liliana Cavani del 1977 restaurato da Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale e Istituto Luce Cinecittà con la supervisione della stessa regista. L’opera sulla ‘trinità’ composta da Lou Salomé, Friedrich Nietzsche e Paul Rée torna nella versione integrale, con i circa dieci minuti di tagli imposti all’epoca dalla censura e quindi, purtroppo e paradossalmente, con il divieto ai 18 anni, circostanza che ha costretto gli organizzatori a spostare la proiezione da Piazza del Popolo al Cinema Sperimentale per evitare la presenza di minori “di passaggio” nella piazza.

All’epoca la pellicola venne sottoposta allo ‘scempio’ a causa della libertà di sguardo con cui la regista di Carpi parlava delle scelte intellettuali e sessuali dei tre protagonisti e in particolare del personaggio femminile. Cavani, regista sempre sotto la lente d’ingrandimento, per film come Galileo e Il portiere di notte, ha rievocato il suo difficile rapporto con la commissione di revisione. “Galileo fu vietato per problemi con la Chiesa cattolica perché venne considerata troppo lunga la scena del rogo di Giordano Bruno, allora dovetti tagliare un pochino del suo grido, venti secondi. In questi casi la censura rischia davvero il ridicolo e l’assurdo. Ma non c’è niente di osceno neanche in Charlotte Rampling che fa l’amore per 40 secondi sopra Dirk Bogarde, una cosa che capita nella vita. Realizzare una censura è un’operazione difficilissima, è facile per le dittature, ma in un paese civile bisogna stare attenti. E’ molto più scandaloso se tu racconti una palla nell’informazione”. A proposito della recente riforma del sistema – che però non riguarda i titoli del passato che hanno ottenuto il visto di circolazione con il divieto – Cavani ha aggiunto: “L’istigazione alla stupidità, l’istigazione alla violenza possono essere un problema, ma l’ufficio non è all’altezza della funzione”.

La proiezione di Al di là del bene e del male conclude l’Evento speciale sul cinema italiano di questa 57ma edizione che per la prima volta è dedicato a una regista. Accanto alla retrospettiva, che ha permesso di rivedere anche molti titoli “introvabili” come Dove siete? Io sono qui (1993) e i cortometraggi di diploma al Centro Sperimentale (Incontro di notte del 1960 e La battaglia del 1961), c’è il volume Liliana Cavani. Il cinema e i film, edito da Marsilio e curato da me con Pedro Armocida.

Moderando la tavola rotonda, abbiamo sottolineato come il volume non solo colmi una lacuna all’interno della bibliografia sulla regista, ma cerchi di riunire saggi eterogenei che aiutano ad andare oltre i luoghi comuni che hanno spesso accompagnato e persino travisato la sua opera. Alle analisi di critici e studiosi di cinema di diverse generazioni, se ne affiancano infatti altre realizzate da esperti di diversi ambiti che hanno aiutato ad inquadrare il cinema della regista carpigiana da prospettive differenti: dalla danza (Rossella Battisti) alla produzione lirica (Anton Giulio Onofri) e persino nella prospettiva di un pastore valdese come Peter Ciaccio a proposito del cristianesimo per certi versi “eretico” di Liliana.

Ho scelto di introdurre l’incontro con un ricordo personale, raccontando il grande impatto che ebbe su di me, ancora adolescente, l’incontro con la personalità di una donna libera sotto tutti i punti di vista come Lou Salomé, intellettuale e psicoanalista, alla prima visione di Al di là del bene e del male. Ho sottolineato lo sguardo originale dell’autrice e la sua straordinaria coerenza narrativa e tematica che affonda le radici nella lezione della Storia e che trova nella figura di Francesco – come di altri outsider – il suo Zenith.

La regista si è detta lusingata che qualcuno riesca a “trovare un sentiero” che collega le sue opere, ammettendo che la Storia riveste effettivamente un ruolo fondamentale nel suo cinema perché non è mai veramente passata, ma “è sempre presente sulle nostre spalle. La Storia è ‘orientante’ anche se ci facciamo poco caso nella vita di tutti i giorni”.

Il primo intervento è poi stato quello di Francesca Brignoli, tra le massime esperte del cinema di Liliana Cavani, che nel suo saggio ha analizzato “i tre Francesco”, da quello del 1966 con Lou Castel, passando per la versione del 1989 con Mickey Rourke fino al lavoro televisivo del 2014 che si concentra maggiormente sulla figura di Chiara d’Assisi, grazie alle aperture degli studi dei medievisti sulla santa che scelse la povertà chiedendo al Papa il privilegio per sé e il suo ordine. Francesco anarchico e ribelle che rifiuta le etichette è molto coerente nelle sue scelte, quasi un alter-ego della regista, la quale è rimasta sempre fedele a se stessa e non ha mai cercato di compiacere.

Liliana Cavani ritiene Francesco, insieme a Dante, il più grande intellettuale della storia italiana da lei scoperto negli anni ’60 grazie al libro dello storico protestante Paul Sabatier, libro messo all’indice dalla Chiesa cattolica, un “romanzo di formazione” che ha ispirato il suo primo lavoro, prodotto dalla Rai grazie alla lungimiranza di Angelo Guglielmi. “Francesco ha contribuito a darmi una nuova visione del mondo e farmi comprendere il valore della fraternitas, la fratellanza che ritroviamo tra i valori della rivoluzione francese come fraternité, e che bisognerebbe riscoprire perché serve una coscienza sociale che oggi non c’è”.

Paola Casella che nel libro ha scritto un saggio intitolato “Questione femminile, questione umana”, ha definito la regista “una persona libera di sesso femminile”. Per la giornalista e critica ci sono due fari che guidano la sua filmografia, ovvero la complessità umana in tutte le sue sfaccettature e la dignità umana, sia essa rispettata (Francesco) o calpestata (la trilogia tedesca). Italo Moscati, co-sceneggiatore di tante opere tra cui I cannibali e Il portiere di notte e anche di un film non realizzato su Simone Weil, è stato tra i primi critici a riconoscere il valore del primo Francesco. Moscati ha raccontato di come all’inizio della sua carriera in Rai, Cavani venisse accusata e criticata da politici e censori in quanto una delle poche giovani donne che cercavano di innovare la televisione con modelli di racconto diversi e una nuova sensibilità. Per Moscati è proprio da qui che bisogna partire per invocare un “bisogno di profondità” che manca nel cinema italiano attuale, nel quale confluisca anche una visione politica appassionata.

Sulla stessa linea ha proseguito Giacomo Ravesi che ha contribuito al volume con un saggio sull’importante capitolo dei documentari televisivi nei quali, afferma, si capisce già la sua capacità di ‘stare’ nella Storia e non solo di guardarla, in particolare con la ‘scoperta’ degli orrori nazisti che l’ha portata a coniugare questi lavori al tempo presente. Cavani ha confermato come in quel periodo stesse cercando di innovare all’interno della Rai, sforzo che però fu ostacolato ripetutamente da forze interne e soprattutto esterne, come nel caso della serie di documentari del ’64 su La casa in Italia, che denunciavano speculazione edilizia e corruzione. È stato comunque per lei un periodo formativo che la ha messa a diretto contatto con diverse realtà, come quella della povertà, un valore importante che ha poi integrato anche nei suoi Francesco, e nel documentario Gesù mio fratello.

Ilaria Feole ha parlato invece del Francesco del 1989, affermando che tra tutte le figure francescane del cinema italiano, da Rossellini e Zeffirelli, quello di Cavani è stato il più efficace, quello che ha lasciato maggiormente il segno, perché non ne racconta la leggenda, ma lo rende ‘corpo’, quindi vulnerabile e umano, come dimostra la famosa scena delle stimmate. Infine, ha preso la parola il co-fondatore della Mostra Bruno Torri che ha reso omaggio a Cavani collocandola tra le figure di riferimento per la storia del cinema italiano, una vera e propria maestra nel cui cinema non c’è solo l’espressione di un punto di vista, o una compiutezza estetica, ma anche un’ansia di conoscenza che rende i suoi film ancora più ‘utili’, in senso rosselliniano.

Per parlare della riedizione di Al di là del bene e del male è intervenuto Sergio Bruno che ha curato il restauro per la Cineteca Nazionale definendo l’operazione una sorta di ‘ricerca storica’ col fine di ricostruire la versione integrale, dieci minuti in più che sono importanti perché “cambiano lo stile narrativo del film, sono chirurgici”. Secondo Cavani “la censura si è adeguata ai tempi, e ciò che era considerato da censurare trent’anni fa è oggi comunemente accettato, se non addirittura ridicolo”.

Cristiana Paternò
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