“A Classic Horror Story” contro la pornografia del dolore

In concorso a Taormina e su Netflix dal 14 luglio, il film è firmato da Roberto De Feo e Paolo Strippoli


TAORMINA – “Abbiamo iniziato diversi anni fa a ragionare su questo film, volevamo che partisse dai classici che amiamo, come La casa, Non aprite quella porta e Misery non deve morire, per poi prendere un’altra strada”. Cresciuti a pane e cinema horror, i registi Roberto De Feo (autore dell’apprezzato The Nest) e Paolo Strippoli (che ha in arrivo, a inizio 2022, il suo debutto in solitaria Piove), hanno firmato insieme A Classic Horror Story, dal 14 luglio (solo) su Netflix dopo essere stato accolto dagli applausi in concorso al 67° Taormina Film Fest. Il titolo già lascia intuire molto delle intenzioni di questo racconto, che maneggia con stile i cliché tipici del genere per poi farne oggetto di ironia e di denuncia sociale.

Come (appunto), nel più classico degli horror, qui i protagonisti sono cinque persone unite dal caso (ovvero dal car pooling) che viaggiano su un camper diretti verso la Calabria. Elisa (Matilda Lutz), Fabrizio (Francesco Russo), Sofia (Yulia Sobol), Riccardo (Peppino Mazzotta) e Mark (Will Merrick) sono un gruppetto decisamente eterogeneo che si ritrova in una sorta di limbo dopo che, al calar della sera, per evitare la carcassa di un animale, il camper sbanda e colpisce un albero. Inspiegabilmente i cinque si ritrovano in una radura dominata da una sinistra casa di legno, senza traccia di strade nelle vicinanze, assediati dalle immagini di creature mascherate che scopriranno essere dedite al culto dei “Tre cavaleri d’anuri” Osso, Mastrosso e Carcagnosso, che una leggenda vuole alle origini del sistema mafioso.

“Netflix ci ha chiesto di inserire nella storia elementi di folklore italiano – hanno spiegato i registi – e ci siamo imbattuti in questa leggenda che non conoscevamo, ma di cui aveva parlato anche Saviano, che ci ha portato in un territorio molto originale. La criminalità organizzata era presente nel plot del film, ma la leggenda di Osso, Mastrosso e Carcagnosso è stata un prodotto del Covid: se non avessimo dovuto bloccarci subito prima delle riprese, non avremmo avuto la possibilità e il tempo di fare una riscrittura del film, di scoprire questa leggenda e inserirla”. A chi evoca il rischio di lanciare un messaggio stereotipato che associa i meridionali alla mafia, i registi rispondono che A Classic Horror Story è “talmente pieno di ironia e di assurdità che ci sembra chiaro che non volessimo parlare seriamente di ‘ndrangheta. Non crediamo che questo film possa arrecare alcun danno in questo senso, ha un tono tutto suo e speriamo, e crediamo, che da questo punto di vista sia innocuo”.

Attraverso ambienti, personaggi e situazioni ricorrenti del “cinema di paura”, De Feo e Strippoli vogliono in realtà prendere in giro il genere horror ma anche e soprattutto “lanciare un’accusa alla pornografia del dolore che vediamo ogni giorno intorno a noi, alla spettacolarizzazione della morte, che è diventata, come diciamo nel film, il contenuto originale più richiesto”. “La vita è fatta di persone che muoiono nel Mediterraneo – sottolinea Strippoli – mentre a pochi chilometri di distanza si balla la macarena in spiaggia: ci interessava parlare di questa società contemporanea con una fiaba horror”.

Zeppo di riferimenti al cinema horror classico Usa, il film – prodotto da Colorado Film – vuole essere anche uno stimolo al rilancio del genere in Italia: “Da noi non si fanno tanti horror anche perché negli ultimi 30 anni ne sono stati fatti troppi a basso budget che hanno allontanato il pubblico, facendogli credere che fosse un genere di serie B – riflette De Feo – Vorremmo che invece gli spettatori ritrovassero fiducia nell’horror italiano: il nostro sogno sarebbe quello di far rinascere un movimento, il sistema ne guadagnerebbe”.

Michela Greco
01 Luglio 2021

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