Il legionario: ritratto di un’Italia attuale e delle sue contraddizioni

L'opera prima di Hleb Papou in concorso a Locarno 74 nella sezione Cineasti del Presente


LOCARNO. Diplomatosi al Centro Sperimentale di Cinematografia con un bel cortometraggio, Hleb Papou ha voluto trasformare il suo saggio di diploma in un lungometraggio. È nato così Il legionario, film in concorso nella sezione Cineasti del Presente della 74° edizione del Festival di Locarno. Lo spunto, in effetti, era davvero originale e interessante: un giovane poliziotto di colore che lavora nei reparti antisommossa della polizia italiana, quelli che sono mandati a controllare manifestazioni, a sciogliere assembramenti, a sgomberare locali occupati. Il fatto però è che uno di quei luoghi occupati che il giovane poliziotto è chiamato a sgomberare, un intero condominio, è l’abitazione dove lui è cresciuto, dove continuano ad abitare suo fratello, che frequenta i centri sociali, e la madre e i due non hanno nessuna intenzione di andarsene. La suspense lievita minuto dopo minuto, perché lo scontro coinvolge molti aspetti: sicuramente quello politico, ma anche quello psicologico nonché le relazioni famigliari. Un vero e proprio caso di coscienza per entrambi i fratelli: uno scontro che contrappone i legami di sangue ai rapporti di lavoro e alla fede politica.

Papou, come già aveva fatto con il suo cortometraggio, affronta la vicenda con un punto di vista decisamente originale. Non prende apertamente posizione per una delle due parti: sembra invece seguire, con l’interesse di un entomologo, come questo piccolo conflitto privato metta in campo ragioni da tutte e due le parti. Il regista sa anche evitare la retorica: al contrario di molti altri film ambientati nei quartieri disagiati, i dialoghi sono essenziali, stringati e credibili, e la narrazione è affidata soprattutto alle immagini. Tutto è raccontato in sottrazione: per mostrare il razzismo che sicuramente circola dentro le forze dell’ordine, sono sufficienti le provocazioni che l’avversario del nostro poliziotto mette in campo quando in allenamento lo affronta sul ring; per sottolineare invece il vuoto parlare ‘sinistrese’, basta guardare l’assemblea tra gli inquilini occupanti che si svolge all’inizio, quando nessuno di loro sembra voler fare un minimo passo nei confronti dei propri compagni di situazione.

Il regista, insieme ai suoi sceneggiatori Giuseppe Brigante ed Emanuele Mochi è sicuramente consapevole di aver realizzato qualcosa di decisamente insolito: “Con il cortometraggio ha preso vita un personaggio a cui pensavo da diverso tempo, ma ero ben consapevole di aver lasciato fuori tante cose che avrei invece voluto raccontare. Lo abbiamo trasformato in un lungometraggio perché abbiamo avuto l’esigenza di parlare a un pubblico più vasto per raccontare l’Italia dei nostri tempi, un’Italia cambiata e che ancora cambierà”. Gli fa eco Briganti: “Il protagonista si fa interprete di una serie di complessità rispetto alla quali non volevamo esprimere un giudizio ma desideravamo metterle in scena, esplorarle. Daniel, detto “Ciobar”, è un personaggio scisso, a cavallo di due mondi, un personaggio che supera i soliti stereotipi; infatti non è il solito immigrato raccontato in chiave patetica, quello che nel maggioranza dei casi viene rappresentato al cinema, ma un ragazzo che, nonostante le difficoltà, è riuscito a trovare una sua via, pur vivendo un profondo conflitto interiore, conflitto che a un certo punto non può più evitare di guardare e che sostanzialmente non si risolve… in fondo volevamo mostrare anche questo, dei conflitti che non si risolvono con una spaghettata…”

E quindi Il legionario si può considerare un film politico? “È politico, come lo sono tutti i film – spiega Mochi –  non è però un film di parte. Abbiamo cercato raccontare una storia che mettesse in crisi un po’ di certezze ma per far sì che lo spettatore si facesse una sua idea”.

Per arrivare ad una rappresentazione il più possibile realistica, Germano Gentile, che indossa i panni del poliziotto di colore, racconta di un lungo lavoro di studio del personaggio, passato da un vero e proprio “training sul campo”: “Ho voluto affiancare dei poliziotti veri per riuscire a calarmi meglio nella loro realtà, per arrivare ad una interpretazione il più possibile ricca di sfumature e non piatta. Per capire meglio questo ragazzo che sostanzialmente si ritrova ad avere due famiglie, quella di origine e quella appunto della celere, che diventa un’altra famiglia. E lo scontro dunque è fra due appartenenze….”

Anche l’ambientazione è assolutamente realistica, basti pensare che il palazzo occupato nella finzione lo è anche nella realtà. Si tratta infatti dell’ex palazzo dell’Inpdap all’Esquilino, dove agli attori del film a un certo punto si sono mescolati i veri inquilini del condominio.  “Non è stato facile farsi accettare  – sottolinea Maurizio Bousso, che nel film è Patrick, il fratello di Daniel –  eravamo in pieno covid e c’era tanta diffidenza. Atteggiamento comprensibile visto che in fondo stavamo invadendo il loro microcosmo e non sapevano bene cosa avremmo raccontato e soprattutto come lo avremmo fatto. Poi devo dire che piano piano siamo riusciti a trovare un modo di relazionarci, tanto da coinvolgerli attivamente anche nel film. E adesso tra di loro c’è grande attesa, grande desiderio di vedere cosa è venuto fuori”.

Il legionario (“girato in soli diciannove giorni e con un budget super leggero”, come tiene a sottolineare il regista) è distribuito da Fandango e molto probabilmente farà la sua uscita in sala in autunno.

 

 

 

Caterina Taricano
06 Agosto 2021

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