‘Leave No Traces’, sotto l’influenza di Antonioni

Dal romanzo di Cezary Łazarewicz, arriva in concorso il film del polacco Jan P. Matuszyński, storia realmente accaduta dell'omicidio di un giovane studente pestato dalla milizia


VENEZIA – Uno studente liceale. Una madre poetessa. La Polonia del 1983 e la milizia che picchia a morte. Un unico testimone. 

Grzegorz Przemyk, figlio della poetessa Barbara Sadowska (Sandra Korzeniak), la Varsavia del periodo dei primi ’80, agli albori di Solidarnosc e alla vigilia della visita del Papa Giovanni Paolo II: queste, – insieme a Jurek (Tomasz Ziętek), l’unico testimone del pestaggio – le pedine di Leave No Traces di Jan P. Matuszyński, in Concorso alla 78ma Mostra di Venezia

“Quando ho iniziato a pensare al film, ho assorbito anche l’influenza di Antonioni nella visione di Jurek, che vedeva tutto da più vicino. Il film è un mosaico di generi, dal thriller al dramma famigliare: il cinema di oggi è interessante per questa opportunità, per la molteplicità degli aspetti costituenti”, spiega il regista dell’opera ispirata a fatti realmente accaduti, riferendosi qui in particolare al personaggio che ha messo in moto servizi segreti, milizia, media e tribunali, perché nemico numero uno dello Stato polacco, mirato ad annientarlo, così come la madre di Przemyk. 

“Ho ‘conosciuto’ Barbara, con il progetto, prima non conoscevo la vicenda. All’inizio il materiale su cui basarsi sembrava poco, tracce, poi abbiamo scoperto che c’erano più testimonianze, che ho provato a rintracciare: osservavo molto le foto. Ho trovato addirittura un lavoro di dottorato con un’analisi sulla vita: è stato un progetto che mi ha fatto riflettere sul tema e non avevo l’impressione di essere parte di un film storico”, dice Sandra Korzeniak, nella parte della mamma di Grzegorz. 

“Przemyk amava la propria libertà quando la polizia gli chiese di esibire la sua carta d’identità il 12 maggio 1983. Sapendo di non essere tenuto a mostrarla, in quanto la legge marziale era stata abolita, non lo fece. Nessuno sa chi abbia inferto l’ultimo colpo fatale. Ha un non so che di kafkiano e ricorda altri casi contemporanei: altro tempo, altra situazione, ma ci sono punti di contatto con il caso statunitense di Floyd, e uno dei miei intenti era proprio renderlo un film universale, ma comunque voglio lasciare libertà d’interpretazione agli spettatori. La presenza di un testimone oculare è l’unica ragione per cui questa storia è venuta a galla. Il film mi ha dato l’opportunità di passare in rassegna le molteplici prospettive del regime comunista della Polonia del tempo. Solo con il supporto del ricordo, possiamo sperare che questo non accada nuovamente. Stavo cercando una storia toccante: ho ricevuto questo libro, e non conoscevo la storia, ma nello scritto ho trovato molti elementi che hanno provocato curiosità ed elementi validi per un film. Io sono nato nell’84, dopo il caso: ho dovuto costruire questo copione passo per passo, costruire quel mondo”, continua l’autore.

Un complesso affresco di personaggi per un dramma politico in un preciso contesto storico, per cui anche: “La riproduzione del mondo del 1983 ci ha richiesto tanta fatica: era molto importante riprodurre la Varsavia del tempo, in cui vivevano i protagonisti, così abbiamo molto lavorato per rintracciare elementi particolari perché non fosse soltanto una cartolina”, aggiunge ancora Matuszyński. 

Nicole Bianchi
09 Settembre 2021

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