Le verità (non più) segrete delle donne

In un concorso mai così ricco di film notevoli, il Leone d'oro va a un’opera forte e incalzante sul tema dell’aborto clandestino – siamo nella Francia dei primi anni ’60 – L’événement di Audrey Diwan.


VENEZIA – In un concorso mai così ricco di film notevoli, che lasciano il segno, il Leone d’oro va a un’opera forte e incalzante sul tema dell’aborto clandestino – siamo nella Francia dei primi anni ’60 – L’événement di Audrey Diwan. Un film letteralmente scritto sul corpo di una donna, la bravissima e giovane attrice Anamaria Vartolomei, che ci immerge nell’odissea della brillante studentessa di letteratura Anne. Quando resta incinta in un rapporto occasionale il suo futuro è messo totalmente in discussione e le sue aspettative rovesciate: interrompere la gravidanza sembra impossibile. Tutti, dai medici alle compagne di università, le negano l’aiuto, sono ostili, ma lei non si arrende, come un personaggio dei Dardenne.

Il film è molto esplicito anche nel mostrare le pratiche devastanti che sono legate all’aborto clandestino, sulla scorta del romanzo autobiografico di Annie Ernaux a cui la pellicola è ispirata: il dolore fisico e mentale, il sangue, gli strumenti rudimentali usati dalla ragazza e da una mammana a cui si rivolge. La giuria di Bong Joon Ho ha deciso all’unanimità, magari sorprendendo qualcuno che non si aspettava che il massimo riconoscimento andasse proprio alla regista e sceneggiatrice francese alla sua opera seconda (ma ha già scritto una nuova sceneggiatura, “per proteggermi”, dice). E il presidente della giuria nega che il premio sia legato al fatto che è una donna a dirigere L’événement: “L’abbiamo scelto all’unanimità perché è un film bellissimo, con una regia bellissima”.

Audrey ha chiamato la sua attrice sul palco per condividere con l’emozione e un abbraccio. “Sono molto emozionata – ha detto la regista – anche perché questo film ha a che fare con il silenzio che regna attorno al tema dell’aborto. Vediamo di continuo cosa succede e sta succedendo nel mondo, ed è tanto difficile parlare dell’aborto. Quando ho deciso di fare il film ero arrabbiata. L’ho girato con il cuore, con le viscere e la testa. Volevo che fosse un’esperienza, sulla pelle di questa giovane donna. Volevo che lo spettatore cercasse di essere lei in un viaggio che mi sembrava impossibile ma che si è realizzato, un viaggio che tutti, uomini e donne, possono compiere”. L’événement arriverà al cinema a ottobre con il titolo 12 settimane distribuito da Europictures.

Sicuramente questo Leone d’oro è un nuovo capitolo nella serie di successi femminili nei festival internazionali (il Leone d’oro a Nomadland di Chloe Zhao l’anno scorso, la Palma d’oro a Titane), a conferma che il vento è davvero cambiato e che le autrici, quando hanno l’opportunità di entrare nelle grandi competizioni, sanno lasciare il segno. “E’ mutato il modo in cui il mondo accoglie il cinema delle donne, ora l’industria lascia che si esprimano – afferma Audrey – certo ci sono dei problemi, ma adesso le cose stanno davvero cambiando e questa serata lo dimostra”. 

Parla di attenzione nuova a ciò che dicono le donne l’altra grande protagonista del festival: Jane Campion, Leone d’argento per la miglior regia con The Power of the Dog, un singolare e intenso western che segna una svolta nella carriera dell’autrice di Lezioni di piano (suo il record della prima Palma d’oro femminile a Cannes nel ’93), perché per la prima volta si concentra sui personaggi maschili e analizza le radici del machismo, basandosi sul romanzo di Thomas Savage. L’autrice ha ringraziato Netflix, compagine produttiva anche del film di Sorrentino. E si è congratulata con la Leonessa Audrey: “Sono felice per te, non vedo l’ora di vedere il tuo film”.

Cita Jane Campion (“un film, il suo Lezioni di piano, che parlava un linguaggio che veniva da una donna, quando per le donne era ancora difficile, se non impossibile esprimersi”) e parla di silenzio delle donne anche Maggie Gyllenhaal premiata per la sceneggiatura di The Lost Daughter, un film incentrato sui sensi di colpa di una madre verso sua figlia. “Mi sono sposata in Italia, qui ho scoperto di essere incinta della mia seconda figlia e il mio film è nato qua, leggendo Elena Ferrante. La prima volta che l’ho letta c’è stato una specie di shock, certe cose le avevo sempre sentite dentro di me, ma sono verità che non sono mai rivelate perché in quanto donne siamo spesso silenziose. Ho sentito qualcosa di molto ancestrale, ho avuto la stessa identica sensazione che avevo provato da liceale guardando Lezioni di piano. Queste verità nascoste andavano rivelate. Vorrei che le donne le ascoltassero magari piangendo al cinema”.

E ancora figure femminili sono al centro di Madres paralelas che ha regalato a Penelope Cruz la Coppa Volpi. L’attrice spagnola ha dedicato il premio a sua madre, “che è anche la mia migliore amica”, e alla mamma del marito Javier Bardem, “che sul letto di morte mi ha detto ancora due parole, prima di andarsene: Coppa Volpi. Come faceva a saperlo?”.

L’Italia esce comunque bene da questa edizione del festival. Con cinque film in concorso e molti titoli ottimi in tutte le sezioni. Per Paolo Sorrentino un doppio riconoscimento: il Grand Jury Prize e il Mastroianni al giovane protagonista e alter ego dell’autore, Filippo Scotti. Premiato anche Il buco di Michelangelo Frammartino con il Premio speciale della giuria, un film molto amato dalla giurata Chloe Zhao. Coppa Volpi all’attore filippino John Arcilia per il fluviale On the Job: the Missing 8 di Erik Matti, che si vedrà come serie.

Delusione per Toni Servillo e Qui rido io, ma anche per la commedia Competencia oficial, con una splendida interpretazione di Penelope Cruz. Ma il giurato Saverio Costanzo rivela: “Il regolamento impedisce di premiare un attore per due film, bisognava scegliere”.    

Prossima edizione  dal 31 agosto al 10 settembre.

Cristiana Paternò
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