A Gdynia, tutte le facce del cinema polacco

Con il Premio alla carriera alla veterana Agnieszka Holland e una lunghissima standing ovation, si è concluso il 46° Polish Film Festival di Gdynia


GDYNIA – Con il Premio alla carriera alla veterana Agnieszka Holland e una lunghissima standing ovation dedicata alla sua arte (ma anche alla sua vis polemica sempre controcorrente) si è concluso il 46° Polish Film Festival di Gdynia, la principale manifestazione dedicata al cinema polacco (vedi il sito). Un festival che per una settimana anima una cittadina sul Mar Baltico a pochi chilometri da Danzica e da Westerplatte, località tragicamente nota per aver dato l’avvio alla seconda guerra mondiale, con la presenza di tutto il meglio del cinema nazionale.

Diretto per il secondo anno dal giovane e competente Tomasz Kolankiewicz, uno storico del cinema che è riuscito a garantire alla manifestazione autonomia dalle pressioni esterne (ci ha spiegato che sui 16 film in concorso sono 4 quelli ‘indicati’ in qualche modo dall’industria o dalla politica), il festival intende dichiarare il suo amore per la storia del cinema e lo fa fin da subito con l’apertura affidata a un restauro. Si tratta di Bad Luck (1960), ultimo film del prematuramente scomparso Andrzej Munk – perì in un incidente stradale a soli 40 anni – con l’incredibile Bogumił Kobiela nel ruolo di un uomo qualsiasi, figlio di un sarto, che il naso prominente condanna al sospetto di essere ebreo e dunque alla persecuzione. Toni da commedia e da pochade ma temi maledettamente seri e drammatici che attraversano il XX secolo e oltre.

Ma il cuore di Gdynia è ovviamente la panoramica della produzione contemporanea con i 16 titoli in concorso. Se la pandemia ha fatto scendere a 47 i film prodotti nell’anno (erano 67 nel 2019), non mancano le perle. Come Leave No Traces di Jan P. Matuszyński, visto in concorso alla Mostra di Venezia (dove era anche Anatomia di Ola Jankowska presentato alle Giornate degli Autori). Il film è una sconvolgente ricostruzione dell’omicidio, per mano di alcuni poliziotti della milizia, dello studente 18enne Grzegorz Przemyk ucciso a calci nel 1983, pochi giorni prima dell’esame di maturità. Un crimine rimasto impunito e insabbiato in modo subdolo con la complicità di parte della magistratura, nonostante la straordinaria mobilitazione popolare e l’impegno della madre della vittima, la poetessa Barbara Sadowska, nonché il coraggio dell’unico testimone, Jurek Popiel, che decide di andare fino in fondo con la sua testimonianza a costo di perdere l’amore e il sostegno dei suoi genitori, specie del padre, comunista convinto. Il film a Gdynia ha vinto i ‘Leoni d’argento’, simbolo di Danzica, animale ‘condiviso’ con la Biennale di Venezia.

I ‘Leoni d’oro’ del festival è andato a Fears di Łukasz Ronduda e Łukasz Gutt, molto attuale e coraggioso nell’affrontare il tema della discriminazione verso gli omosessuali. Fears è ispirato alla vicenda reale dell’artista Daniel Rycharski, un omosessuale che vive in una piccola comunità rurale molto cattolica. Il film è particolarmente urticante per il pubblico polacco, in un paese che sta introducendo le cosiddette zone ‘libere da LGBT’ ovvero vietate ai gay. Un tema sollevato anche da Agnieszka Holland – che ha incentrato il suo più recente film, Ciarlatano, su un personaggio omosessuale – nel suo lungo discorso di ringraziamento per il premio ricevuto dalle mani di Krzysztof Zanussi.   

Il riconoscimento per la Miglior regia è andato a Łukasz Grzegorzek per My Wonderful Life, uno dei pochi titoli ambientati nella Polonia contemporanea, con la storia della ribellione di una professoressa di inglese che fuma spinelli e tradisce il marito, preside del liceo. Abbondano le ricostruzioni storiche tra riflessione, denuncia e nostalgia. Hyachinth (scritto da Marcin Ciastoń che ha vinto il premio per la sceneggiatura) di Piotr Domalewski è, ad esempio, un solido polar, distribuito da Netflix, su alcuni omicidi avvenuti negli anni ’80 nell’ambiente gay di Varsavia quando la legge perseguiva l’omosessualità in modo durissimo e venivano compiute retate continue. Il protagonista Tomasz Zietek è uno dei giovani attori da tenere d’occhio, visto anche in Leave no traces nel ruolo centrale del testimone, qui invece incarna un poliziotto figlio di papà che indagando nel mondo gay scopre pulsioni inconfessabili ma anche inconfessabili commistioni dei potenti di turno.

Autumn Girl con Maria Dębska (premio alla Migliore attrice) diretto da Katarzyna Klimkiewicz è quasi un musical sulla sexy star della tv anni ’60 Kalina Jedrusik, rimasta nella fantasia maschile come un simbolo di trasgressione e bellezza alla Brigitte Bardot. Prime Time di Jakub Piątek, che ha consegnato a Andrzej Kłak il premio come miglior attore non protagonista, è un’opera prima sul sequestro di due ostaggi in uno studio televisivo durante il capodanno del 1999, anche questo targato Netflix, con protagonista il giovane interprete di Corpus Christi Bartosz Bielenia, attore più che emergente. O ancora The Getaway King di Mateusz Rakowicz sulle vorticose avventure anche galanti di un ladro gentiluomo nella Polonia popolare, quando le merci scarseggiavano, che sembra neanche tanto sottilmente contestare il consumismo contemporaneo.

La Polonia di oggi è in molti casi rappresentata come un paese grigio e soprattutto a corto di valori, dominata dal materialismo: ad esempio nell’opera prima di Aleksandra Terpińska Other People, coproduzione con la Francia, un film che era molto atteso perché tratto dal qui famoso romanzo di Dorota Masłowska e che è stato premiato come miglior esordio e per la convincente performance del giovane interprete Jacek Beler, improvvisato gigolò e aspirante rapper senza prospettive di successo.     

A proposito di coproduzioni segnaliamo un importante trend di collaborazioni tra Italia e Polonia che, a partire dal notevole Sole di Carlo Sironi, coprodotto nel 2019 da Giovanni Pompili e Agnieszka Wasiak con attrice protagonista Sandra Drzymalska, arriva al recente Il silenzio grande di Alessandro Gassmann, visto a Venezia alle GDA. Tra le coproduzioni figura anche Silent Land, sempre targato Wasiak-Pompili, appena presentato all’ultimo festival di Toronto, mentre Pawel Pawlikowski (Ida, Cold War) sta girando Limonov con Wildside nella compagine produttiva, Jerzy Skolimowski metterà il suo prossimo set Italia, Lech Majewski, dopo aver realizzato alcune scene del suo ultimo Valley of Gods a Roma, sta valutando un nuovo set italiano. Infine, un altro autore legatissimo all’Italia, anche per motivi biografici, è Zanussi che aveva realizzato alcune scene di Etere in Friuli Venezia Giulia.

Cristiana Paternò
27 Settembre 2021

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