Caterina Caselli: “Il vero talento è timido e democratico”

Caterina Caselli: “Il vero talento è timido e democratico”


Papà salumiere e mamma magliaia, Caterina Caselli da Modena, anno 1946, sincera e generosa dal vivo, come sincera e generosa appare nel documentario, di cui è protagonista alla Festa del Cinema di Roma come Evento Speciale: Caterina Caselli – Una vita, cento vite di Renato De Maria. “Ho raccontato tutto come fossi davanti ad un’analista, forse avevo bisogno di raccontarlo, l’ho tenuto celato tanti anni”, dice la signora Caselli, portando con queste parole al ricordo del suo papà, mancato suicida quando lei era appena adolescente. “Renato è stato fondamentale. Tutto questo è stato possibile perché il regista è De Maria: abbiamo avuto un primo incontro esplorativo, e per conoscerci, e da lì un’immediata empatia, ho capito che mi potevo fidare come fosse un fratello. Ho capito di poter raccontare seguendo la mia parte emozionale: ero sola col mio racconto, che non avevo mai raccontato prima, la società dei miei 14 anni era un po’ spietata”, quei “14 anni” in cui lei non demordeva per poter essere allieva della scuola di musica vicino a casa, quella del maestro Callegari, che dopo tante insistenze ottenne di frequentare, quando assecondata dalla zia Ave, ricorda lei stessa nel film; quei “14 anni” in cui si sentiva d’esser stata già un po’ “beat” rispetto ai coetanei, preferendo cantare melodie come Tintarella di Luna. “Nel presente c’è molto sensazionalismo, non solo nella musica: il vero talento è timido, è democratico, può fiorire ovunque; chi ha qualità ed è un vero talento, secondo me, esce e dura nel tempo”. 

“Dal primo incontro ho capito di voler lavorare su un flusso narrativo, lavorando in costanza sulla sincerità, ‘eliminando’ le interviste: era un flusso denso e infinito, e così è stato naturale raccontare anche la trasformazione storica e sociale del Paese. È un percorso che racconta la trasformazione di una persona a cui piace vivere sul limite del futuro, dunque un treno per raccontare anche l’Italia. Sono arrivato all’equilibrio lavorando tantissimo di ricerca sul repertorio (tra cui, alcune sequenze dall’Archivio storico Luce, ndr), un lavoro di scavo e studio, e poi raffinazione. Se c’è un criterio è stata la verità di Caterina in primo piano e tutto il resto veniva seguendo il suo flusso, sottraendo regia, fotografia, montaggio, per una pulizia di racconto senza svolazzi artistici: m’interessava la botta estrema dell’emozione”, spiega il regista. 

Il 1966 è stato L’anno di Caterina Caselli, vincitrice morale di Sanremo con Nessuno mi può giudicare, protagonista dell’ominimo Musicarello di Ettore Maria Fizzarotti – costo 80mln di Lire, incassato 1mld -, podio al Festival Bar con Perdono e, ancora, attrice della pellicola a colori Io non protesto, io amo (1967) con Massimo Girotti (Terence Hill). Da quel ’66, Caterina Caselli ha l’aurea di saper portare con sé la perenne scia d’esser sempre rimasta un’artista, seppur – come ricorda lei stessa, e come il documentario ben mette in scena – le sue vite siano state “almeno due”: “Quando cantavo, sono stata felice in quel periodo inteso, soli 4 anni: non tutti sanno che mentre c’era la mia parte di artista che s’esibiva con adrenalina, c’era un aspetto sofferente connesso alle competizioni, perchè quella cosa del confronto mi metteva a disagio, ma col tempo ho pensato che bisogna anche avere una certa forza in quello specifico aspetto del mestiere; poi mi sono innamorata di una persona, Piero Sugar, ho avuto un figlio, ma comunque avevo ‘il richiamo della giungla’ e il cosa fare m’è stato suggerito sin da quando cantavo: quando sentivo qualcuno che aveva talento, avevo l’urgenza di farlo conoscere, come accadde quando portai Guccini nel programma che conducevo con Gaber. Il matrimonio, il figlio, sì, ma lavorare comunque nella musica, questo mi toglieva la durezza della competizione: è stato un contesto di soddisfazione, altrettanto importante, abbastanza impagabile”, spiega ancora la signora Caselli, che nel  narrare il suo rapporto con l’arte musicale cita Quentin Tarantino nell’Incontro di cui ieri sera è stato protagonista alla Festa: “Chi studiava con me da attore, amava più se stesso che il cinema, mentre io il cinema”, questa la riflessione del regista riportata dalla cantante/produttrice, che l’ha commentata e fatta propria: “con le debite proporzioni, è successo anche a me: io ho avuto tante soddisfazioni (dopo la mia carriera da artista), per esempio a Sanremo, quando Elisa cantava Luce, e io a cantare dietro le quinte; ho avuto la fortuna di poter esercitare questo mio lato ‘da regista’ grazie a mio marito e mio suocero”.

Un uomo fondamentale, il suocero Latislao Sugar (ungherese, dal 1930 in Italia), infatti successe che Maurizio Mandelli dell’Equipe84 insistette con Caterina – e la mamma – perché lei andasse a Roma: “mia madre disse sì senza darmi una lira, ma ad un certo punto fui scritturata per un mese al Piper, dove una sera, a sorpresa, venne Latislao Sugar che, finita la mia ora di esibizione, mi disse: ‘Stasera, sentendo lei, mi sembrava che tutto il resto fosse vecchio’”. Una dinastia che si perpetra quella degli Sugar, con Filippo, figlio di Piero e Caterina Caselli, adesso alla testa dell’azienda discografica e – nello specifico di questo film – anche produttore con Sugar Play in collaborazione con Rai Cinema e The New Life Company: “Il progetto, all’inizio è stata un’esigenza per fare un punto della sua carriera artistica. Trovo nel film la tenacia, la curiosità, l’intelligenza e l’umanità della mamma, che a volte il lavoro nasconde, ma che c’è. Partiamo da questo progetto per immaginarne altri, di artisti che hanno attraversato la nostra azienda o anche giovani della musica”. 

Il famoso “casco d’oro” – taglio di capelli di cui ebbero l’idea i famosi parrucchieri Vergottini di Milano -, colei che ascoltato dapprima Nessuno mi può giudicare disse che “manco morta” l’avrebbe cantato un tango, così da cambiarne il ritmo e farne un sempreverde (grazie al “no” di Celentano, per cui scoprì essere stata scritta), l’interprete per cui Paolo Conte scrisse Insieme a te non ci sto più, che più di recente impazzì di gioia quando lesse nei titoli di testa di DJango Unchanged “song by Ennio Morricone e Elisa”, ora – protagonista del film di De Maria – la signora Caselli arriva al cinema con Nexo Digital, che distribuisce il documentario il 13, 14 e 15 dicembre

Nicole Bianchi
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