Cuarón: “Amo gli italiani, dai Taviani a Golino e Zalone”

Una dichiarazione d'amore per il cinema italiano, quello classico, ma anche quello dei nuovi autori come Frammartino, Rohrwacher e Golino e persino per Checco Zalone


Una dichiarazione d’amore per il cinema italiano, quello classico, ma anche quello dei nuovi autori come Frammartino, Rohrwacher e Golino e persino per Checco Zalone. In quasi due ore di Incontro Ravvicinato il grande cineasta messicano Alfonso Cuarón, Premio Oscar per Gravity e Roma, ha raccontato questa sua passione viscerale, sincera, parlando in italiano, la lingua della sua seconda moglie Annalisa Bugliani (è anche cittadino onorario di Pietrasanta), sollecitato dalle domande di Antonio Monda e Richard Pena.

C’è stato anche un momento di grande commozione, con la standing ovation per Paolo Taviani, presente in sala, quando Cuarón ha mostrato una scena di Padre padrone, uno dei 12 film scelti e commentati con grande competenza: 4 contemporanei e 8 classici. “Il primo film che ho visto – ha raccontato – è stato La spada nella roccia, un classico Disney, di cui ricordo la barba di Merlino che si incastra nella porta. Quando avevo 7/8 anni, mio cugino venne a dormire a casa mia e, siccome i miei erano usciti, abbiamo guardato Ladri di biciclette in tv. Pensavo fosse un film d’azione ma ho scoperto un mondo, quel capolavoro mi ha accompagnato verso un cinema diverso”.

Ha scherzato sulla scelta di 12 film: “Quentin è bravo a fare le liste di dieci, io non ci riesco. Il cinema italiano per me è fertile, vastissimo. A Londra, dove vivo, si vedono Rossellini, Antonioni, Visconti, ma ci sono tanti altri autori straordinari e, a volte, dimenticati. Come Marco Ferreri, di cui ho scelto Dillinger è morto, un regista sovversivo, in grado di fare una diagnosi precisa della crisi del maschio, forse paragonabile a Léos Carax”.

Padre padrone – ha proseguito – è un film fondamentale, speciale. Grazie, maestro”, rivolgendosi direttamente a Paolo Taviani. “Questi film sono un mistero per l’umanità profonda e l’approccio mitico unito alla disciplina marxista. E tutto questo senza retorica. Qualcosa che mi ricorda Pasolini”. La ricerca dell’umanità è una costante del discorso di Cuarón. “Amo la commedia italiana perché non giudica i personaggi. Monicelli, Risi, Scola, Lattuada parlano di tante cose. C’è in loro osservazione sociale e malinconia, critica al carattere italiano. Ho scelto I nuovi mostri e oggi mi piace Checco Zalone“.

Scorrono le immagini di Salvatore Giuliano di Rosi, la madre che riconosce il cadavere del figlio: un film prediletto anche da Martin Scorsese. “Gli eroi del cinema italiano, oltre ai registi, sono i grandi tecnici – sottolinea il messicano – Gianni Di Venanzo, Giuseppe Rotunno, Dante Ferretti, Tonino Guerra, Ruggero Mastroianni. Salvatore Giuliano ha la luce di Gianni Di Venanzo, è una luce fortissima, difficile da gestire”.

Tra le sue scelte c’è anche un film muto del ’21 L’uomo meccanico di André Deed. “Terminator 70 anni prima!”. Altra clip, quella de I compagni di Monicelli che dà lo spunto per parlare di Marcello Mastroianni. “Con lui sembra tutto facile, è un attore che senti amico. Per questo può fare personaggi discutibili, perché lo spettatore non lo giudica mai. È il mio attore preferito in tutta la storia del cinema. Lo trovo delizioso. Per lui il cinema era gioia pura”.

C’eravamo tanto amati è un altro film della sua selezione: “Scola è un cineasta che amo, vicino alla commedia, ma straordinario nel parlare del passaggio del tempo con malinconia. I suoi film non sono mai ideologici, l’umanità è sempre al centro. La meglio gioventù è un altro film che mi piace tanto e che parla del tempo”.

Scorre la sequenza de La dolce vita con Mastroianni sulla spiaggia che non riesce a capire la ragazza che gli parla dall’altra sponda. E poi parte la scena finale del suo Roma. “Ho utilizzato il vento delle spiagge di Fellini, quello che si sente in Amarcord, La dolce vita, E la nave va. Fellini è il fondamento del cinema moderno”.

Quindi le scelte contemporanee: Le quattro volte di Michelangelo Frammartino che dimostra come “il cinema possa esistere senza narrazione, senza musica, suono, storia, attori, colori, solo nella dimensione del tempo. Frammartino è un maestro del tempo e del flusso dell’esistenza, il suo è uno dei film più importanti di questo secolo”. Quindi Respiro di Emanuele Crialese (che è in sala insieme a Valeria Golino). “Emanuele è un grande, ha preso la lezione del cinema italiano degli anni ’40, ’50, ’60, ma l’ha fatto suo, così tutto diventa moderno, astratto”. Quindi Miele di Valeria Golino, la scena in cui Jasmine Trinca va in Messico a comprare il veleno. “Golino, oltre che una grande attrice, è una delle registe moderne più importanti. Ho visto Miele a Londra ed è stato una sorpresa per me. Quello che vedi è come se succedesse realmente. La tecnica è perfetta ma sparisce. Il personaggio è in primo piano”. Lazzaro Felice di Alice Rohrwacher con la sorella Alba – che è in Sala Petrassi – “una regista mistica e quasi spirituale che cerca la bontà dell’umanità e si preoccupa della sofferenza sociale”.

Cristiana Paternò
20 Ottobre 2021

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