Totò Cascio ‘A occhi aperti’ per raccontare la retinite pigmentosa

Nel cortometraggio di Mauro Mancini, realizzato per Fondazione Telethon, l'attore di Nuovo Cinema Paradiso racconta la sua condizione di disabilità dovuta a una rara malattia genetica


Nel cortometraggio A occhi aperti di Mauro Mancini, produzione Movimento Film con Rai Cinema, realizzato per la Fondazione Telethon Totò Cascio, lo straordinario bambino protagonista del film premio Oscar Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, ormai cresciuto, racconta in prima persona la sua storia. Una storia condizionata dalla retinite pigmentosa, una degenerazione genetica della retina che comporta la perdita quasi totale della vista. Questa patologia gli ha compromesso la carriera che lui sognava nel cinema.

Fondazione Telethon è fortemente impegnata nella ricerca sulle malattie della retina e nello studio di trattamenti anche risolutivi.  Fondazione Telethon e Rai Cinema collaborano da sedici anni per la realizzazione del cortometraggio a sostegno della campagna di raccolta fondi destinata alla ricerca per le malattie rare. 

Non si può non pensare alla particolarità di questo destino, dato che nel celebre film Totò, attraverso i suoi occhi, diventava la vista dell’accecato proiezionista Alfredo (Philippe Noiret), permettendogli di apprezzare ancora il cinema. Celebre la frase del film, utilizzata anche dalla band Dream Theater per il suo brano Take the time, “Ora che ho perso la vista, ci vedo di più”.

Racconta Cascio nel corto: “Non ho detto la verità per molti anni, ma la retinite pigmentosa è stato il motivo per cui ho smesso di fare cinema. Mi faceva soffrire veder piangere i miei genitori, ma è stato proprio Tornatore a starmi vicino”.

Poi prosegue in conferenza: “Avevo bisogno di far incontrare per la prima volta il Totò bambino con il Totò adulto. Chi ho pensato, ci ho lavorato con un mio percorso di consapevolezza e ne avevo realmente bisogno. Da anni nella mia mente e nel mio cuore risuonavano le parole ‘gloria e prova’. Siamo tutti bravi ad accettare la gloria, il successo e la fama. Ma il vero uomo si vede nella prova. Per anni mi nascondevo, inventavo scuse per le proposte che mi arrivavano. Per i giornalisti. Nemmeno avevo coraggio di parlarne a Tornatore, glie l’ho detto solo un anno fa. Vedendo questo cortometraggio ho ritrovato forza e spontaneità. Lo vedo come un punto di ripartenza per cui sono grato. I primi sintomi sono arrivati quando avevo 12 anni, tra l’altro una malattia condivisa con uno dei miei fratelli. Ma quello che cresce lentamente mette radici profonde. Con lacrime, sacrificio e anche con i miei attributi ce l’ho fatta, e sono rinato. Oggi non parlo più di malattia ma di condizione. Vedo solo luci o un flusso di luci al centro dell’occhio. Bisogna guardare la realtà, il consiglio che posso dare a chi si trova nelle mie condizioni è credere nella ricerca ma anche e soprattutto accettare e andare avanti. Nella vita quotidiana sono abbastanza autonomo, per tutto quello che posso. Viaggio, oggi sono a Bologna. Molte cose non le posso fare, ma ci convivo abbastanza bene, sono ripartito, apprezzo la vita per quello che mi dà. Non è semplice, ma si può fare. Mi piacerebbe tantissimo tornare al cinema, per ora uscirà un mio libro autobiografico con la presentazione di Tornatore. Voglio condividere la mia storia, perché tutti quelli che hanno condiviso con me la loro disabilità sono stati dei miti, da Bocelli a Zanardi alla Minetti. Voglio anche io essere testimonial per chi ha bisogno”.

Tornatore contrappunta, sempre nel cortometraggio: “Quando Totò mi ha raccontato il tormento di dover accettare questa nuova condizione, ho capito che non era più il bambino di Nuovo Cinema Paradiso, e che era diventato un uomo”.

Dice Paolo Del Brocco, ad di Rai Cinema: “Produciamo pochi corti e solo a tema sociale, per portare temi importanti alla gente tramite film che sono piccoli solo per durata. E’ un corto bellissimo e di grande qualità per cui ringrazio produzione, regista e Tornatore per la partecipazione. Ma soprattutto Totò Cascio che si è prestato, e con cui non si può che entrare in empatia. Questo fa sì che si entri in contatto anche con la problematica, sperando anche che il corto possa dare un senso di conforto e speranza a chi ha questo tipo di problema. Il corto andrà sulle reti Rai e su Rai Play durante la maratona Telethon, sarà ovunque serva la sua visibilità per gli obiettivi che Telethon si prefigge”.

Così il produttore Mario Mazzarotto: “Quando Telethon e Rai Cinema mi chiamano e mi coinvolgono per me è un’occasione speciale. Dà un senso profondo al proprio lavoro. Queste piccole produzioni sono intense e ci permettono di toccare realtà e affrontare tematiche che danno un senso al nostro lavoro. Con Mancini abbiamo già collaborato e il tutto è sfociato in progetti più ampi. Nasce tutto da una collaborazione con Rai Cinema che progetta questi corti e racconta storie con testimonianze di coloro che sono particolarmente coinvolti nel tema della ricerca, e da lì col regista si sviluppano storia e sceneggiatura. Così partono le avventure produttive”.

Il regista Mancini commenta: “Ogni volta lavorare con Telethon e Rai Cinema è un privilegio, è prezioso poter raccontare storie come questa. La storia di Totò è un’occasione interessante per raccontare le sfumature su cui Telethon lavora da anni, il tema dell’accettazione. Ho lavorato direttamente con Totò e ho capito subito che era una persona straordinaria, generosa e fuori dal comune. Era importante avere la piazza di Nuovo Cinema Paradiso, a Palazzo Adriano, così riconoscibile e iconica. Poi abbiamo girato in posti diversi, ma è stato emozionante vivere quei luoghi che conoscevo solo cinematograficamente e riportarci Totò. E’ stato un gioco di rimandi col film. Gli scalini, la casa di Totò, ci siamo ricollocati dove erano state girate le scene originali. Tutto bello ed emozionante, cercando di far combaciare il nuovo con ciò che c’era prima. La piazza è ancora come l’avete vista nel film”. 

Alberto Auricchio, Ricercatore dell’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Pozzuolispecifica che “la retinite pigmentosa è in realtà un gruppo di malattie genetiche diverse che viene trasmessa dai nostri genitori, magari sani. Si perde prima la visione notturna, poi la malattia si sposta al centro della retina e si comincia a perdere la porzione centrale della vista, che ci permette di vedere la luce e i colori, si manifesta la fotofobia e si può arrivare anche alla cecità. Fino a pochi anni fa non esistevano terapie, ma da tre o quattro anni la prima terapia genica approvata per un’altra malattia è stata approvata in Europa e USA grazie a un successo di Telethon. Altra ricerca da menzionare è un’altra terapia genica per un’altra forma di retinite pigmentosa associata a sordità, la cui sperimentazione parte a Napoli nel 2022. Speriamo di trovare risposte in termini di terapie per queste malattie ereditarie. Sono terapie risolutive perché aggiungono copie corrette dei geni mutati”.

Francesca Pasinelli, Direttore Generale Fondazione Telethondichiara: “Noi nasciamo con la televisione, e dunque la comunicazione attraverso l’arte e il cinema è fondamentale. La Rai ci accompagna fin dalla nascita e da sempre cerca di coniugare tutti gli aspetti della ricerca con l’emozione e il linguaggio artistico. In particolare il cinema dà ancora più lirica, che ci aiuta a concretizzare la ragione per cui esistiamo. Che è anche rendere consapevoli che prima della malattia c’è la vita di una persona, le sue speranze e i suoi desideri, anche quando le malattie sono così rare. Le persone curate sono nomi per noi e non numeri, proprio perché sono così pochi. Hanno un nome e un volto, caratteristiche legate alla rarità. Ed è importante che si mettano a disposizione per rappresentare il problema perché è la prima fase in cui stabiliamo un patto col donatore a cui chiediamo di partecipare alla raccolta fondi. Se il malato si espone definisce al donatore dove andranno quei soldi. Parte del nostro lavoro consiste anche nel supportare le famiglie che all’inizio, quando ricevono la diagnosi di una malattia così rara e misconosciuta, cadono nello sconforto. Si accompagnano i ragazzi a scuola o al parco giochi, per permettere una condizione di vita più normale possibile”.

Andrea Guglielmino
25 Novembre 2021

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