Ferrario racconta Malta come “un archetipo del mondo”, con McDowell e Keitel

Ferrario racconta Malta come "un archetipo del mondo", con McDowell e Keitel


TORINO – 1919, Malta. I cittadini dell’Isola combattono per l’indipendenza dalla Corona britannica

Blood on the crown, una storia ispirata alla realtà per Davide Ferrario, al Torino Film Festival – Fuori Concorso con la sua ultima opera interpretata da Malcom McDowell e Harvey Keitel, militari inglesi alti in grado. “Gli attori erano parte del fascino della proposta. È stato complicato, faticoso, ma con loro ci continuiamo a scrivere, ci siamo capiti, credo gli sia rimasta la voglia di lavorare ancora insieme. Sono mostri sacri, con cui c’erano delle ‘artistic discussion’, dei bracci di ferro, ma costruttivi. Sono di due scuole differenti, quella inglese rigorosa e quella americana di Harvey, che lavorava ‘dentro’ il personaggio, cosa che però ho dovuto un po’ scoprire… anche da uno scambio di sguardi in cui mi fece l’occhiolino. I loro sono personaggi sviluppati, ma non sono gli unici a portare i pesi della storia”, spiega Ferrario. 

Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, i maltesi si uniscono contro gli inglesi, riuscendo nel tentativo di liberare il loro Paese: un piccolo territorio in mezzo al mare ha sconfitto il grande impero d’Oltremanica. “Un evento ignoto: confesso che prima non conoscevo niente della storia di Malta. Mi è stata fatta questa offerta, all’inizio pensavo fosse un po’ uno scherzo vista la grandezza, invece no: ho voluto fare un film non solo di rievocazione di fatti locali ma archetipico del mondo, perché c’è chi ha le armi e il potere, e chi non ha nulla, quindi una storia che tutti potessero capire dappertutto”. 

“Noi stavamo cercando un regista di spessore, una condizione di Keitel era proprio questa. Ferrario ha colto l’essenza della situazione all’inizio del XX secolo a Malta, colonia più piccola dell’Impero, la seconda a ribellarsi, dopo l’Irlanda; lui ha colto il senso e il contesto, uno scontro sanguinoso, in un contesto paradisiaco”, per Pedja Miletic, uno dei produttori. 

Ferite da taglio, ospedali, prigionieri, fucili: ma anche case aristocratiche, giardini curati a regola d’arte, servitù di colore. Uno squarcio sociale, in cui dapprima primeggiano i due inglesi e le loro esistenze. Ma c’è anche Filippo, medico borghese di pazienti semplici, gente del popolo, che però ha desiderio di lavorare, così come di imparare, frequentando la scuola, e che con il dottore – colto motivatore e trascinatore – condivide il senso di dignità e libertà. 

Nell’elegante regia di Davide Ferrario, suggestiva è la luce, quella calda del sole del Mediterranneo, che ricorre nelle scene in esterni, illuminando le pietre chiare delle case o il terreno sabbioso delle strade, ma il cui “dorato” – e le sue declinazioni, dal lattiginoso al castano – non raramente viene richiamato anche per le sequenze negli ambienti interni, così giocato in chiaroscuro sugli archi della grande e prospettica stanza di riunione dei militari inglesi, infatti, continua il regista “Ci sono due tipi di oscurità: quella naturalistica necessaria e quella della scena dei quattro ufficiali inglesi intorno ad un tavolo, un bunker nella trama, anche se la location è storicamente un ospedale del ‘500, attualmente centro culturale, con 160 metri di corridoio illuminato. Era meraviglioso, ma ho voluto spegnerlo, mantenendo solo una fila di luci che dessero l’idea della dimensione, per creare una claustrofobia”. Comunque, “Malta è stata molto vista da Il Gladiatore a Zalone all’Isola delle Rose, è stata usata molto come set ma mai raccontata come Malta, e per me le location sono fondamentali, quasi più della sceneggiatura. Ho girato molto l’Isola per conoscerla. La luce mediterranea, una pietra che mangia la luce, il mare azzurro, tutto straordinario: per gli inglesi, Malta doveva essere come il Vietnam per gli americani, troppo caldo, le zanzare. Molto bravo è stato il direttore della fotografia, anglo-cambogiano, Keefa Chan: nel carcere con i ribelli la sua idea era che la luce esterna fosse quella stessa che loro stavano perdendo e proprio questa luce che illumina la prigione rende ancor più insopportabile quello che sta succedendo”, inoltre “avevo pensato di usare musica originale maltese ma il colonialismo inglese l’ha completamente cancellata, con la censura e importando la moda delle bande, che imparavano a suonare le loro marce. Nel film c’è musica mediterranea, e poi classica da mainstream, orchestrale, costruita pezzo pezzo perché reagisse con le immagini”, conclude l’autore, che per la colonna sonora ha collaborato con Laurent Eyquem

 

Nicole Bianchi
03 Dicembre 2021

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