Premio Caligari, dibattito Noir tra finalisti

“Generazione Noir”, l’incontro con i finalisti del Premio dedicato all'autore di Amore tossico: Cupellini, De Feo e Strippoli, D'Angelo, La Pàrola e Johnson hanno aperto la 31ma edizione del Noir


MILANO – “Poco prolifico ma basilare, straordinario. Maestro suo malgrado”, con queste parole il critico Maurizio Di Rienzo – per l’occasione moderatore dell’incontro – celebra Claudio Caligari, l’autore cui è dedicato il Premio omonimo, istituito dal Noir in Festival, la cui 31ma edizione ha preso il via nel pomeriggio di oggi – 10 dicembre – con l’incontro “Generazione Noir”, presso l’Università Iulm di Milano, ospiti i finalisti del Premio, Roan Johnson, Claudio Cupellini, Toni D’Angelo, Roberto De Feo e Paolo Strippoli, Giovanni La Pàrola. Con loro anche Isabella Sandri, unica donna nella rosa dei nominati al riconoscimento, purtroppo non presente, seppur candidata con il suo Un confine incerto

Il sentire comune, tra gli autori, sembra essere il Noir percepito come baluardo, malleabile nel nome di un’evoluzione del medesimo, disponibile anche alla commistione tra Generi e linguaggi, senza necessariamente l’adesione assoluta alla purezza degli stilemi classici. 

“Il Noir ti permette di voler bene a un personaggio nero, cupo: questo è un miracolo, non solo nel Cinema, anche nella Letteratura”, dice Toni D’Angelo, finalista con Calibro 9, film che arriva dopo Falchi. “Il mio è un Action-Noir, girato in Belgio, in Calabria, a Milano. Quello di Di Leo è un capolavoro assoluto, prima che lo dicesse Tarantino: ho avuto la fortuna di avere come produttore Gianluca Curti, il figlio del produttore di Di Leo, che quindi ha vissuto anche la sua sofferenza di autore. Il sogno del mio produttore era omaggiare il suo papà e Di Leo stesso. Il mio è un poliziottesco all’italiana, un po’ più ricco e meno bello: quelli degli autori come Di Leo erano film con un’artigianalità pazzesca, loro erano registi che ricreavamo… facendo opere assolute. Una cosa che ho fatto molto mentre scrivevo è stata leggere le recensioni del tempo: erano stroncati questi film, una cosa pazzesca, interessante e d’incoraggiamento per gli autori”. 

“Penso il Nor abbia cambiato codici col passare dei decenni: l’essere dentro al Noir lo dà l’atmosfera, che nel mio film – La terra dei figli – gioca un ruolo prezioso e importante; è la parola stesa, Noir, a portare in quel territorio”, riflette Claudio Cupellini. “Penso ci sia stato un momento in cui vivevamo molto della nostra tradizione del Neorealismo e della Commedia, evviva! Poi, però, con l’arrivo della serialità, e di filmografie straniere, abbiamo iniziato a produrre sempre più contenuti per cui piattaforme e produttori hanno capito si potessero percorrere strade virtuose seppur non ci appartenessero in principio; così, è arrivato naturalmente il proporre storie a cui prima non si sarebbe pensato. Io ho adattato una graphic novel di Gipi: mi sono innamorato fosse una storia nera, ma anche calda e intima. Penso che la ricchezza di generi che oggi possiamo frequentare traduca l’autorialità e i prototipi del nostro Cinema. Noi oggi riusciamo a proporre storie originali con una cornice che ci stimola. La terra dei figli è un Noir per il sentimento stesso della storia del film, non segue i dettami classici del Genere, però è una storia scura: c’è l’andamento del fiume, non veloce, a volte intimo e contemplativo; credo non ci sia una formula e sia bello avventurarci in territori a volte sconosciuti. Io ho girato nel Polesine, dove Visconti girò Ossessione (1943): senza assolutamente mettermi a paragone, penso però che questa possibilità di diversità che c’appartiene sia una ricchezza enorme, noi siamo grandi tutt’oggi, grazie alla nostra artigianalità di saper proporre una prospettiva diversa”. 

Così come “Il cinema Horror, come altri generi, è cambiato: per il nostro film – commenta Roberto De Feo (The Nest), con Paolo Strippoli autori di A Classic Horror Story -, se fosse stato girato 7/8 anni fa, la richiesta del distributore sarebbe stata di andare verso il sovrannaturale, mentre adesso si lega indissolubilmente alla tematica sociale. Con Paolo abbiamo voluto costruire un inganno per lo spettatore, a partire dal titolo, per portarlo ad una riflessione: un messaggio sulla spettacolarizzazione della morte e del dolore”. Infatti, continua Strippoli, “noi abbiamo cercato di guardare all’Horror contemporaneo con qualche omaggio Art House, citando spesso Scream. Volevamo costruire un ‘mondo horror’, di cui siamo appassionati: è stato un luna park fare certi omaggi ma poi ribaltando sul finale, in cui l’Horror è tradito, per permetterci di affermare come certi social ammazzino una cosa sola, l’empatia”. Inoltre, procede De Feo, “ero preoccupato perché non avremmo avuto a che fare solo con il pubblico italiano ma con quello di 190 Paesi (essendo distribuito da Netflix): Paolo diceva che il film l’avrebbero apprezzato più all’estero che in Italia, dove il pubblico ti chiede credibilità al 100%, mentre fuori volevano vedere qualcosa di nuovo perché sono colmi di Genere”. Sulla questione conclude Strippoli, per cui “uno dei più grandi problemi di fare Horror in Italia è che siamo disabituati agli Horror italiani: così, per far rimanere lo spettatore incollato alla sedia, dovevamo creare un contorno solido, infatti la parte più difficile è stata la prima, quasi ‘disegnata’, direi”. 

Per Giovanni La Pàrola, autore di Il mio corpo vi seppellirà, “L’operazione è stata raccontare una favola di quasi 160 anni fa, una guerra fratricida che ha generato l’Unità italiana. M’interessava l’ambiente dei briganti, già braccati dal governo borbonico. Credo mi fosse più congeniale misurarmi con il Genere: il Western mescolato un po’ con il Pulp, legati alla storiografia e alla pericolosità di un territorio. Ora, siamo entrati in un’epoca forse più terribile, quella della standardizzazione delle serie, che però porta il pubblico a desiderare un cinema che mescoli le carte, i Generi appunto”. 

“Io ho affrontato principalmente la Commedia, nel mio mestiere: sono partito da quella grottesca fino alla romantica.”, afferma Roan Johnson, finalista per il Premio con State a casa, per cui “Quando mi sono trovato durante il primo lockdown, anche per esorcizzare una serie di paure, ho iniziato a scrivere vari film – uno mi dava troppa ansia -, così ho cominciato a scrivere una storia in cui i personaggi erano un po’ come topi da laboratorio, chiusi in un ambiente claustrofobico, l’appartamento, tanto che Tommaso Ragno – uno dei protagonisti -, ha coniato la definizione “in vitro veritas” per questa storia”.

Dopo questo incontro, il Premio Caligari dà appuntamento a mercoledì 15 dicembre, giornata in cui sarà dato annuncio del vincitore dell edizione. 

Nicole Bianchi
10 Dicembre 2021

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