Argento: “Nato per fare il regista: non reciterò più, ma scriverò ancora”

Il Maestro dell’Horror ospite di un incontro del Noir in Festival, di cui è considerato il nume tutelare: spunto della conversazione il volume Dario Argento


MILANO – “Non esiste Noir in Festival senza Dario Argento, nume tutelare, che ha accompagnato totalmente la nascita del NIF”, dice Giorgio Gosetti, co-direttore della manifestazione, presentando il protagonista dell’incontro, e del volume che lo celebra, Dario Argento. Due o tre cose che sappiamo di lui, a Milano “in accordo con Cinecittà”, che organizza al Lincoln Center di New York la rassegna che nella prossima primavera celebrerà l’autore, con la proiezione di 16 suoi film integralmente restaurati. L’approdo nella metropoli statunitense sarà preceduto dell’anteprima romana alla Casa del Cinema, alla fine di gennaio 2022.  

Il libro che dà il là alla conversazione tra Argento e Gosetti è sostanzialmente un’intervista curata da Steve Della Casa, nel volume in doppia lingua – italiano e inglese: “Ci sono molti momenti, è un libro molto composito. Mi fa ricordare sin dal mio primo film, L’uccello dalle piume di cristallo, fondamentale per me: è un consunto di tutto, racconti, storie, fatti e anche sul modo in cui sono stati realizzati i film”, commenta subito il Maestro. 

Proprio la sua opera prima del ’70 fu anche l’occasione di un incontro rimasto unico nella carriera, quello con il direttore della fotografia Vittorio Storaro: “Ci fece incontrare Goffredo Lombardo”, ricorda Argento. “Ci siamo capiti e compresi, soprattutto abbiamo capito cosa volessimo raccontare. Lui subito entrò nel progetto, abbiamo lavorato con scioltezza, rapidità, inventando inquadrature, lui mettendo la sua bravura nel raccontare luce e colori. Peccato non si sia ripetuto l’incontro nel tempo, fu un momento magico. Ci siamo ‘separati’ perché io volevo fare un altro film e lui s’era impegnato con Bernardo Bertolucci, quindi mi dette questo grande dispiacere di non lavorare con me sul film seguente, la cosa mi toccò molto, mi sembrava uno sgarbo, non ci siamo più incontrati”. 

Bernardo Bertolucci non solo “protagonista” dell’affaire Storaro, ma anche dell’avventura comune per il soggetto di C’era una volta il West, questione che da sempre serpeggia nel mondo del cinema, tra leggenda e mistero, e che Dario Argento ha qui dettagliato: “Abbiamo lavorato molti mesi”, ripete, dapprima. “Andavamo a casa di Leone, a Casal Palocco, quasi tutti i giorni, si discuteva e si guardavano film con Bernardo: lui, Leone, ci mise insieme. La cosa si prolungò per molto tempo, per Sergio penso fosse difficile fare un film con una protagonista femminile – Claudia Cardinale: sentiva dei momenti di difficoltà; ci aveva presi perché noi eravamo giovanissimi e pensava potessimo comprendere meglio le donne rispetto ai vecchi sceneggiatori, abituati a raccontare storie di uomini. Questa è stata l’origine del film. Poi uscimmo dal progetto, che fu proseguito da altri: poco dopo io ho fatto il mio primo film e Bernardo fece Il conformista (1970). Le nostre tre strade si divaricarono”. 

Regista sì, sceneggiatore altrettanto, ma dapprima Argento fu critico cinematografico, quindi uomo di scrittura, che poi nel tempo ha praticato anche come arte applicata specifica e di cui dice: “Mi piace scrivere, sono stato giornalista e critico, momenti tra i più belli quelli trascorsi quelli scrivendo: mi piace mettermi lì a raccontare in solitudine, quando scrivi sei tu e la pagina, i tuoi sogni, le tue illusioni e le tue allucinazioni o anche i tuoi ricordi, che escono sciolti dalla mia mente. Io scrivo a penna: penso scriverò altri libri, non so di che argomento però. Ma per ora sono impegnato a fare il regista. Sono stato anche rocambolescamente impegnato a fare l’attore, proprio nel ruolo di un critico cinematografico, con Vortex di Gaspar Noè, che venne a Roma, si piazzò a casa mia, finché non gli ho detto sì. Mi ha molto affascinato l’idea di poter improvvisare, cosa che lui mi ha permesso: Noè sul set dava una traccia e noi improvvisavamo un monologo; io sono figlio del Neorealismo, quello degli attori presi dalla strada, capaci poi di capolavori che hanno sconvolto il cinema mondiale. Ma confermo che non ripeterò questa esperienza affascinante, perché sono nato per fare il regista e questo continuerò a fare”. 

Come infatti dimostra il suo set tutt’ora in corso, quello di Occhiali Neri, di cui non rivela molto, tranne che: “Sì, le mani dell’assassino nei miei film sono sempre le mie: ma non in questo film! Perché il cattivo è molto robusto, e le mie piccine non potevano andare bene. Mi sono sentito un po’ defraudato (ride)!”. E un riferimento al film in opera lo fa anche riflettendo sugli effetti speciali: “Il cinema va avanti… così gli effetti speciali, che aiutano: ci sono scene, inquadrature, che senza non si potrebbero fare. Questo nuovo sistema è entrato nel cinema: anche se quando guardi un film, pure lo spettatore più sprovveduto si accorge che la scena è fatta in digitale e così un po’ si smaga, ma non se ne può più fare a meno. Per esempio, Occhiali Neri ha alcune scene in digitale, ma non tantissime, perché a me piace continuare a lavorare con il mio fidato Sergio Stivaletti, che ha fatto e animato alcuni serpenti; c’è una grande bellezza negli effetti speciali manuali”. 

Nicole Bianchi
11 Dicembre 2021

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