Antonio Capuano: “Per raccontare Napoli bisogna viverci”

Il regista napoletano a ruota libera alla Mostra di Pesaro parla di Paolo Sorrentino e Mario Martone


PESAROAntonio Capuano a ruota libera. Anche per criticare le scelte di Mario Martone in Nostalgia.

Il regista è alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro per un doppio appuntamento, film più libro. In Piazza del Popolo la proiezione del suo film più recente (2020), Il buco in testa, con Teresa Saponangelo nel ruolo di Maria Serra, figlia del vicebrigadiere di polizia ucciso da un militante di Autonomia Operaia a Milano nel ’77, durante una manifestazione. Un film di fantasmi e di piombo, di odio che dura nel tempo e rende muti, di ribellioni femminili, ma anche di profonda pacificazione e dialogo con l’altro. Una bellissima interpretazione per l’attrice napoletana che fu premiata per quel ruolo con il David di Donatello, successo replicato quest’anno con E’ stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino. Proprio il film che ha dato a Capuano una popolarità inedita e sorprendente, nonostante i 13 film al suo attivo, tra cui opere importanti come Vito e gli altri, Pianese Nunzio, 14 anni a maggio, Luna rossa, La guerra di Mario

All’82enne regista e artista è dedicato anche un volume pubblicato dalla Artdigiland di Silvia Tarquini, Da una prospettiva eccedente a cura di Armando Andria, Alessia Brandoni e Fabrizio Croce, presentato stamani. Nella prefazione Christian Raimo rende esplicito un pensiero condiviso da molti: “Nell’ultimo anno Antonio Capuano è diventato famoso come personaggio ancora di più che come artista. L’omaggio/ritratto che gli dedica Paolo Sorrentino in È stata la mano di Dio ha avuto il merito di valorizzare, quasi mitizzando, la sua poetica intemperante. Ma questo non è per forza un male. La suggestione gnomica che Capuano lascia al protagonista e a noi, ‘non ti disunire’, può essere colta come chiave per leggere la sua eredità, anche nell’opera, come se dovessimo rivedere o vedere per la prima volta il cinema di Capuano con questa ispirazione. Proviamo allora a essere assertivi, a sentenziare anche noi: il cinema di Capuano è una delle cose più belle che siano capitate all’arte italiana negli ultimi trent’anni; più che il David di Donatello alla carriera, Capuano avrebbe dovuto ricevere premi e riconoscimenti sparsi a costellare i tre decenni a partire dal 1991 di Vito e gli altri“.

A Pesaro, sul palco di Piazza del Popolo e in un incontro al Centro Arti Visive Pescheria, l’autore, come sempre senza peli sulla lingua, parla della nuova onda napoletana, che coinvolge Martone e Sorrentino. E ne prende in parte le distanze. Intanto sta lavorando a una nuova sceneggiatura con Marcella Aquilar, sua collaboratrice anche nella commedia Achille Tarallo.

“L’omaggio di Paolo Sorrentino mi ha molto divertito, ha alimentato le chiacchiere nel mio quartiere. Mi ci sono riconosciuto sì e no, ma è stato istruttivo capire come l’altro ti possa vedere. Ma lui, come Martone, oggi vive a Roma, da dove io invece sono scappato dopo sei mesi per tornare a Napoli. Se non ci vivi, non conosci più i paesaggi che mutano. La città cambia continuamente, impercettibilmente. Tornare a Napoli dopo tanti anni è come andare in una città estranea”. E aggiunge: “Ho nostalgia degli anni con Paolo, quando prendevamo il caffè e parlavamo, poi è andato a Roma e mi è mancato, mi manca ancora”. 

Si concentra poi su Nostalgia, con cui condivide l’interprete Tommaso Ragno nel Buco in testa è l’assassino ormai invecchiato e intristito dopo molti anni di carcere e con un peso sulla coscienza, in Nostalgia l’amico di gioventù diventato un boss della camorra. “Il napoletano parlato nel film di Martone non è quello della Sanità dove ho lavorato a lungo, anche con i carcerati – dice Capuano con il suo stile inconfondibile, la parlata libera da tabù e freni inibitori – Conosco la gente della Sanità, so come respira. Il respiro napoletano non lo trovi per caso”.

E poi sulla scelta di Pierfrancesco Favino come protagonista, scelta contestata da chi avrebbe voluto un attore partenopeo: “Napoli è una città piena di attori eccellenti e lo dico con tutto il rispetto per Favino. Anche la scelta di Aurora Quattrocchi per la mamma del protagonista mi pare strana, tanto più che Martone ha scartato Angela Pagano, un’attrice che vive da sola a Monte di Dio e che ha lavorato con Eduardo, mentre Quattrocchi è siciliana. Così non senti più le trasparenze che si avvertono in città. La vita è un’altra cosa. Bisogna viverla per poi ripeterla sullo schermo”.

La sua riflessione è quasi una genealogia che parte da Le mani sulla città. “Rosi è lontano ma non lo è. Salvatore Piscicelli, che il mio produttore Dario Formisano ben conosce, ha fatto film su Napoli quando Napoli era apparentemente morta. E’ stato lui la continuazione di Francesco Rosi. Poi c’è stato il fenomeno di Gomorra ma è una cosa tutta televisiva. Un’invenzione di Roberto Saviano, che cerca la fiction all’americana, con l’esaltazione dell’epica delinquenziale. In Luna rossa ho mostrato delinquenti che sono repellenti, come devono essere e come dice il prete di Pianese Nunzio: ‘voi siete la monnezza di Napoli. La camorra fa schifo e oggi ha invaso tutta la città, non solo i quartieri, mano a mano hanno cominciato ad allargarsi, i camorristi sono delle merde”.

Cristiana Paternò
24 Giugno 2022

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