Good Morning, Cinecittà

La notizia del giorno, ripresa da tutti i quotidiani, anche con richiami in prima pagina, è l’annunciato addio al cinema di Woody Allen


L’ADDIO DI WOODY ALLEN La notizia del giorno, ripresa da tutti i quotidiani, con richiami in prima pagina nel caso de Il Messaggero e La Repubblica è l’annunciato addio al cinema di Woody Allen. Fra due settimane il regista americano inizierà in Francia le riprese di Wasp 22, che sarà il suo 50° ed ultimo lungometraggio, dopo di che si dedicherà esclusivamente alla scrittura. Al di là della comprensibile stanchezza dettata dall’età, 87 anni, e dalla delusione per il boicottaggio americano del suo ultimo film Un giorno di pioggia a New York, in seguito alle (false) accuse nei suoi confronti promosse da Mia Farrow, l’addio al cinema di Allen nasce da motivazioni per così dire ideologiche e suona come un atto di accusa nei confronti di un sistema. “Un tempo – afferma Allen nella citata intervista –  quando facevo un film questo andava al cinema in tutto il paese. Ora fai un film e rimane in sala un paio di settimane, o quattro o sei, e poi finisce in streaming o sulla pay-per-view. Non è lo stesso, non è altrettanto piacevole per me, non mi diverto più come prima, era una bella sensazione sapere che c’erano 500 persone a vederlo. Non so come mi fa stare ora fare film”.

“Probabilmente questo sconcerto – commenta Maurizio Porro su Il Corriere della Sera – è comune a molti autori legati alla distribuzione in sala come unico elemento del destino e delle fortune di un film, che invece oggi passa attraverso altri canali, in un momento di transizione”.

“In tanti nostalgici – ricorda anche Maurizio Acerbi su Il Giornale – la pensano come Woody Allen, memori dei tempi nei quali i film non si scrivevano con la fotocopiatrice come avviene oggi. Tutti uguali, politically correct, fatti con lo stampino. Meglio uscire con dignità dalla porta di una Hollywood che, in fondo, non lo ha mai capito e sopportato, piuttosto che ostinarsi in una terapia del dolore che serve solo ad alleviare, ma non a curare. Un malessere portato avanti per anni che trovava espressione, anzi incarnazione, nei suoi protagonisti maldestri e impacciati, insofferenti e mai a loro agio”.

CINEMA IN FESTA Poche righe invece i quotidiani hanno dedicato a Cinema in Festa che, fino a giovedì, offre al pubblico la possibilità di acquistare il biglietto d’ingresso al prezzo scontatissimo, in alcuni casi meno che dimezzato, di 3,50 euro. Ancora una volta, l’impressione è che la meritevole iniziativa, organizzata con lo scopo di riabituare il pubblico alla frequentazione del grande schermo, non sia stata sfruttata come dovuto, ovvero con una più incisiva e martellante campagna promozionale e proponendo nelle giornate di festa, oltre ai film in normale programmazione, anche appuntamenti speciali per assecondare la logica dell’evento, che sembra essere la chiave di volta per conquistare il successo in sala.

LE SORPRESE DEL BOX OFFICE USA Tuttavia, almeno dall’estero non mancano notizie confortanti per il grande schermo; ne dà conto Il Corriere della Sera ricordando come abbia debuttato al primo posto nel box office americano, con un risultato largamente superiore alle aspettative, oltre 19 milioni di dollari in una settimana segnata da agguerrita concorrenza, The Woman King di Gina Prince-Bithewood, film incentrato sulla vera storia delle amazzoni che a metà dell’800 difesero il regno africano del Dahomey dall’invasione dei coloni bianchi.

LA CELEBRAZIONE DI SOFIA LOREN Presentato in anteprima a Napoli al Galà del cinema e della fiction e in arrivo martedì in prima serata su Rai 1, ha ottenuto calde accoglienze sui giornali il documentario di Marco Spagnoli Sophia!, prodotto da LaPress con Rai Documentari e Luce Cinecittà. “Sophia! – scrive Valerio Caprara su Il Mattino – vuole e riesce ad essere con piena consapevolezza e altrettanto orgoglio un prodotto popolare nel senso primario e positivo del termine e risultare, pertanto, utile allo spettatore invece di strattonarlo con interpretazioni contorte e cervellotiche”.                                   

Franco Montini
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