I grandi premi fanno bene al cinema in sala?

Il Leone d’Oro attribuito a un documentario riaccende il dibattito sull’impatto dei premi al box office. Distributori ed esercenti si confrontano su un tema che rimane sempre di grande attualità


Ogni volta che si conclude la Mostra del Cinema di Venezia con l’assegnazione del Leone d’Oro, si apre la discussione per cercare di capire se il premio potrà avere un impatto sul box office e quale rapporto ci sia, se c’è, tra il festival e il mercato. Dibattiti che si fanno più accesi quando il premio viene attribuito a opere magari di non immediato richiamo per lo spettatore e che, per i temi che affrontano o per lo stile utilizzato, non sempre riescono ad ampliare il loro pubblico di riferimento.

Anche questa edizione non ha fatto eccezione con l’attribuzione del Leone all’intenso documentario All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras (acquistato da I Wonder) che racconta la vita dell’artista e fotografa americana, Nan Goldin, e le sue battaglie in Usa contro big pharma. Ma il dibattito si accende anche quando a vincere sono film che la critica considera troppo commerciali… Nel 2017, ad esempio, è capitato per La forma dell’acqua di Guillermo del Toro

Il Leone d’Oro, a prescindere, è destinato a far discutere. Facendo una veloce panoramica sui premi degli ultimi dieci anni, ci troviamo di fronte a titoli dall’esito commerciale completamente diverso. Pietà, premiato nel 2012, incassò ad esempio 372mila euro; il doc Sacro Gra (2013), arrivò al milione; Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza (2014), 314mila euro; Ti guardo (2015), 55mila euro; La donna che partì (2016), non risulta distribuito in sala; La forma dell’acqua (2017), 8,7 milioni; Roma (2018), film di Netflix uscito in un numero limitato di sale e per il quale non sono a disposizione i risultati completi; Joker (2019), 29,7 milioni; Nomadland (2020), 1,7 milioni e La scelta di Anne – L’Événement (2021), 219mila euro.

Anche se non è corretto paragonare film usciti in periodi diversi – tra l’altro con una pandemia di mezzo che ha impattato duramente sull’industria cinematografica – ci si rende conto comunque di come ogni film abbia seguito un suo percorso. È doveroso sottolineare, però, che i film di maggiore incasso, avevano già un loro forte impatto commerciale ma sicuramente il passaggio veneziano ha dato loro più forza.

I distributori: il Lido è una vetrina imprescindibile

Abbiamo coinvolto alcuni distributori ed esercenti per capire come valutano, dal loro punto di vista, il rapporto tra Mostra del Cinema e mercato. Il Leone d’Oro è una spinta e un incentivo per lo spettatore? Le direzioni artistiche dei festival devono porsi il tema del box office? Per Rai Cinema e 01 Distribution il festival di Venezia è un appuntamento determinante sul quale impostano il piano di lancio di tanti titoli. È di questi giorni l’esempio de Il signore delle formiche di Gianni Amelio. Anche se non ha vinto nessun premio, ha goduto di un passaparola molto positivo partito proprio dal Lido e che poi si è allargato grazie al pubblico dei cinema che gli ha permesso di arrivare a ridosso del milione di euro, cifra non facilmente raggiungibile per il cinema italiano di qualità in questo periodo di post pandemia. Vedremo poi cosa accadrà dal 22 settembre con Ti mangio il cuore di Pippo Mezzapesa, film diverso da quello di Amelio ma con un lato nazional popolare forte avendo come protagonista una star della musica pop come Elodie: “Tra una decina di giorni vedremo se Venezia potrà dare valore aggiunto anche a un prodotto meno classicamente festivaliero come quello di Mezzapesa”, dichiara a Cinecittà News Luigi Lonigro, direttore di 01 Distribution. Nell’analizzare il rapporto tra festival e mercato, il manager parte da una considerazione: “Molti aspetti sono cambiati. Fino a dieci anni fa la Mostra del Cinema rivestiva un valore importante sui piccoli film in concorso, che da sconosciuti diventavano noti. Nel caso di un premio diventavano titoli con un valore aggiunto ulteriore. La contrazione del pubblico cittadino, la diminuzione degli incassi e delle presenze per i prodotti di qualità e il minor impatto odierno della critica su carta stampata, hanno reso questa azione meno determinante tanto che gli ultimi film che hanno vinto i premi più significativi, a parte La forma dell’acqua, Jocker e Nomadland – titoli importanti a prescindere – non hanno ottenuto risultati di rilievo al box office. Quando il festival ha selezionato prodotti con ambizioni di mercato, ricordo anche La La Land o Tre manifesti a Ebbing – Missouri, ha sicuramente permesso di amplificarle, facendo diventare questi film più popolari e conosciuti. Invece film più autoriali e di nicchia, tendenzialmente rimangono tali anche se premiati”.

Per Antonio Medici, amministratore delegato di Bim, le giurie dei festival si muovono e decidono in base a criteri artistici e non di mercato: “I premi che possono aiutare veramente un film sono i principali, Leone d’Oro e Palma d’Oro di Cannes. Ha meno incidenza invece l’Orso d’Oro di Berlino. Questi riconoscimenti svolgono una funzione di moltiplicatori per film che abbiano già un potenziale commerciale e che, dopo il riconoscimento, riescono ad allargare la propria platea di pubblico. Il premio da solo non basta. Lo abbiamo visto in questi ultimi anni con i riconoscimenti vinti a Cannes da Titan e al Lido nel 2021 da L’evenement; se un film pur di valore viene percepito come ostico dal mercato, difficilmente poi in sala può cambiare radicalmente il suo percorso commerciale. Ci sono stati però casi in cui un Leone d’Oro o una Palma d’Oro hanno cambiato le sorti di un film; mi riferisco ad esempio a Sacro Gra che nel 2013 si impose a Venezia e, pur essendo un documentario, ha ottenuto un bel successo commerciale che senza premio non avrebbe raggiunto”.

I festival devono seguire la loro linea editoriale e artistica, come sottolinea Gabriele d’Andrea, direttore marketing e distribuzione theatrical di Lucky Red: “I festival devono immaginare quale possa essere il futuro creativo del cinema; sono manifestazioni artistiche e vanno considerate in questa dimensione. Ritengo che non sia appropriato attribuire una visione commerciale e industriale a un festival. Il fatto che al Lido abbia vinto un documentario, a mio avviso potrebbe essere il preludio di una stagione fortunata per un genere che ha sempre sofferto in sala e che regala perle che hanno potenzialità di connettersi con il pubblico. Lasciamo che i festival facciano il loro lavoro e che possano valorizzare talenti che il sistema industria, da solo, non riuscirebbe a far emergere”.

Per Roberto Proia, executive director theatrical distribution and production di Eagle, è sbagliato cercare un rapporto diretto tra festival e mercato anche se, premi a parte, eventi come quelli di Venezia e Cannes possono comunque generare un effetto traino per gli spettatori, al di là dei premi: “Alcuni riconoscimenti servono al film, altri molto meno. Dati Cinetel alla mano, ormai è solo l’Oscar per il miglior film che incide sul box office. Gli altri premi da anni dimostrano di non riuscire a far crescere gli spettatori al cinema. Penso sia una forzatura porsi il tema del rapporto tra festival e mercato perché i festival sono manifestazioni culturali che non sono al servizio del box office; possono però aiutare a riportare la gente al cinema perché come eventi glamour e di massa restituiscono il sogno agli spettatori. Indipendentemente dal film che vince. Mercato e festival, quindi, raramente convergono. Quando accade allora un distributore e il suo film hanno ottenuto il massimo risultato possibile”.

Gli esercenti: uscite a ridosso del passaggio ai festival

Abbiamo visto come per i distributori, se di rapporto festival-mercato si può parlare, è soprattutto nel ruolo di vetrina che la Mostra del Cinema riesce a rappresentare per alcuni film e di come l’effetto moltiplicatore a livello di incassi ci sia per titoli già con potenzialità commerciali. 

Ma gli esercenti come la pensano rispetto ai film, premiati o meno, in arrivo dal Lido? Francesco Santalucia, cinema Galleria di Bari, sottolinea che “le giurie di un festival è giusto che premino i film che ritengono migliori per qualità. A volte premi e incassi vanno di pari passo; è accaduto con film quali Jocker o La forma dell’acqua. Purtroppo titoli come quello con Joaquin Phoenix sono una rarità; sono di grande qualità realizzativa e interpretativa e hanno anche potenzialità commerciali. Il Leone d’Oro lo ha aiutato sdoganandolo anche rispetto a quel pubblico adulto e di appassionati di cinema che difficilmente avrebbero preso in considerazione un cinecomic senza il passaggio al Lido. In questo senso il festival ha aiutato ulteriormente il film dal punto di vista commerciale. Ci sono poi casi di film che, grazie al Leone d’Oro, riescono ad ampliare le possibilità di incassi altrimenti molto ridotta ma che difficilmente si trasformano in prodotti dal forte impatto. Di solito festival e mercato vanno su binari paralleli perché i film commerciali non hanno quella qualità che festival come Venezia richiedono. Il festival comunque è una grande vetrina promozionale; si parla molto di film su tutti i media e questo dà grande visibilità al consumo in sala al momento dell’uscita. Anche per film che non vincono”.

Per Enrico Signorelli, responsabile programmazione circuito Unici, il rapporto festival-mercato si crea quando un film che transita a Venezia o a Cannes, esce a ridosso del festival e così può essere notato maggiormente dal pubblico. Ma molto dipende anche dai cinema in cui viene distribuito “perché ci sono strutture più ricettive di altre per i film da festival. Di sicuro anche film piccoli possono beneficiare di un allargamento nella distribuzione. Se prima di un festival un film poteva aspirare a un’uscita in 30 sale, dopo il passaggio riesce a trovarne anche 70-80”. L’importante, però, è che l’uscita non avvenga troppi mesi dopo il festival perché si smarrisce l’effetto traino. “Vedremo – conclude Signorelli – come andrà Bones and All di Luca Guadagnino che uscirà il 24 novembre. Mi chiedo: un’uscita più ravvicinata al festival sarebbe stata più proficua per il film? Abbiamo visto in questi giorni quanto Venezia stia trainando Il signore delle formiche che pure non ha vinto premi”.

Domenico Dinoia, presidente Fice e gestore dei cinema Palestrina (Milano) e Troisi (San Donato Milanese), è più risoluto nel negare rapporti tra la Mostra del Cinema di Venezia e il mercato, inteso come sale, per la decisione presa dalla direzione artistica di selezionare e premiare film di piattaforme, soprattutto Netflix, che non hanno certo i cinema come luogo deputato di sfruttamento: “Festival di Venezia e mercato viaggiano su binari paralleli. La direzione artistica della Mostra compie la sua selezione di titoli senza porsi il problema del loro approdo nelle sale cinematografiche. Lo dimostrano i tanti film di Netflix o delle piattaforme costantemente in programma e che su grande schermo arrivano solo per pochi giorni e non in tutti i casi. Ai festival di Berlino o Cannes la situazione è diversa perché è più forte il legame con il grande schermo”. Per l’esercente il ruolo importante della Mostra è quello comunque di vetrina: “I film italiani ambiscono a essere selezionati al Lido proprio per il traino che il festival può rappresentare una volta che il film è al cinema. Ora spero che altri titoli come Siccità possano beneficiarne. Quanto al Leone d’Oro al doc All the Beauty and The Bloodshed, non è la prima volta che a Venezia o Cannes si premiano opere di valore che difficilmente possono poi porsi all’attenzione del grande pubblico. La Mostra deve puntare su qualità, ricerca e sul linguaggio cinematografico. Quello che ha perso Venezia è l’obiettivo dell’uscita in sala e questo rapporto va recuperato”.

Stefano Radice
21 Settembre 2022

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