‘Comunisti’ di ieri e genitori di domani

Nel cortometraggio presentato a Torino, il regista Davide Crudetti, insieme alla co-autrice Paola Di Mitri, riflettendo sull'eredità dei propri genitori comunisti, si chiede se chiudere un buco in un


Sappiamo tutti quale muro è caduto, o meglio è stato abbattuto, nel 1989. A oltre trent’anni di distanza c’è chi si chiede se alzarne un altro, molto più piccolo, ma simbolicamente grande quanto tutta la cortina di ferro. È Davide Crudetti, regista appena trentenne che, con la sua compagna d’arte e di vita Paola Di Mitri, si chiede se lasciare aperto quel buco nel muro del salotto del loro nuovo appartamento, aumentando l’effetto open space, oppure chiuderlo e metterci una porta, per creare una stanza dedicata a chi verrà un domani. La risposta a questa domanda sarebbe stata scontata per generazioni intere, ma non per questa, nata e cresciuta dopo la caduta di tutti i muri.

In un 40mo Torino Film Festival infarcito di film, serie e, soprattutto, documentari che in qualche modo rievocano il periodo storico degli anni di piombo e della caduta del muro, il cortometraggio Comunisti è presentato fuori concorso nella sezione “Dei conflitti e delle idee” affiancato a un lungometraggio che, in qualche modo, ne rappresenta l’effettivo contraltare: Ok Boomer di Andrea Gropplero di Troppenburg e Gianfranco Pannone (ne abbiamo parlato qui). La presa di coscienza dei “Boomer”, che si colpevolizzano in qualche modo per il futuro strappato ai figli, riceve una risposta dai due giovani autori di Comunisti, che questo futuro stanno cercando di costruirselo insieme.

“È stato molto interessante il dibattito fatto insieme ai registi di Ok Boomer. – dichiara il regista – Noi abbiamo detto che non abbiamo nessuna intenzione di ‘sparare’ ai nostri genitori, come si dice nel loro film. Di quella generazione ci portiamo dietro tante cose, tanti conflitti. Quegli ideali continuano a dirigere la nostra vita. Poi bisogna trovare il modo di applicarli nel presente in maniera diversa. Non abbiamo intensione di cancellare quell’eredità. Non c’è nessuna invidia verso la loro generazione, noi questo presente ce lo viviamo. Sarebbe bello portare alcune di quelle battaglie, di quella forza, di quella capacità di essere collettivo e comunità dentro un presente iper-disgregato in cui ognuno si fa i fatti suoi”.

“Mi sento molto piantata per terra rispetto ai miei genitori, che vedono questi problemi quasi volare per aria. -aggiunge la co-autrice Di Mitri – Davide nasce nel ’91, muore il Partito Comunista ma continua a divulgarsi la speranza di un futuro migliore. Ora la differenza è che noi vorremo dire ai nostri figli come stanno davvero le cose: che devono essere forti, che non è un bel periodo. È come se noi fossimo tutti più consapevoli di dove siamo, rispetto a dove sono scivolati i nostri genitori”.

“E le generazioni più giovani sono messe ancora meglio. – la incalza Crudetti – Io se penso ai miei 19 anni, quando ho iniziato a prendere le scelte di adulto, mi rendo conto che sta andando tutto al contrario di quello che mi avevano detto. Potevo fare quello che volevo: il liceo classico, l’università, il regista. E poi è arrivata la crisi economica. E ti dicono forse abbiamo sbagliato, forse non ci sono più i soldi”.

Per scoprire la risposta alla domanda palesata in questo brillante cortometraggio, prodotto grazie all’intervento del Premio Zavattini promosso da Luce Cinecittà, bisognerà attendere un po’ di tempo. Ma per una giusta causa: “Il buco non lo abbiamo chiuso perché la decisione non è stata presa e perché stiamo sviluppando il lungometraggio partendo dal corto, che si chiama proprio Il Grande Buco. – concludono gli autori – Ci siamo accorti che c’era molto di più da raccontare e elaborare. Il corto è molto spostato sul passato e non bastava a raccontare quello che sentiamo e che ci portiamo addosso. L’eredità va sviscerata e superata per capire come può diventare qualcosa da usare nel presente e da passare a qualcuno”.

Alla fine, resta la consapevolezza di una generazione che dopo avere perso i punti di riferimento sta cercando di recuperarli e ora, forse, sa finalmente dove si trova. Dopo i muri abbattuti, ce ne sono tanti da costruire, senza sentire il peso di dovere farlo per forza, perché, tra le tante cose che le nuove generazioni hanno perduto, di certo non c’è la possibilità di scegliere.

Carlo D'Acquisto
30 Novembre 2022

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