Damien Chazelle: “Per ‘Babylon’ ho attinto da Fellini”

Il cinema muto e il passaggio al sonoro, l’ascesa e la caduta di un'epoca sfrenata, decadente, sfavillante e depravata di Hollywood: protagonisti Margot Robbie e Brad Pitt. Dal 19/1 al cinema


Il richiamo biblico di Babilonia, ma anche di Sodoma e Gomorra, a restituire un altro tempo e un altro luogo, ma un’affinità di essenza: Damien Chazelle è a Roma per presentare Babylon, film dallo smagliante personale estetico, che fa da contraltare a una trama di apici e precipizi, umani e artistici, etici e sociali. Quelli della Hollywood che non c’era, che è fiorita in un angolo di mondo che sarebbe poi divenuto una Mecca, ma dal principio uno spaccato di coraggio pionieristico tinteggiato di ombre e luci, le più oscure come le più luminose. 

Brad Pitt e Margot Robbie – rispettivamente Jack Conrad, un divo del Muto, e Nellie LaRoy, una debuttante attrice alla ricerca del suo angolo di paradiso nel cinema – insieme, tra gli altri, a Diego Calva, Jean Smart, Jovan Adepo, Li Jun Li, P.J. Byrne, Lukas Haas, Olivia Hamilton, Tobey Maguire, sono le colonne di questo “monumento” d’arte e perdizione che è stata Hollywood nella sua epifania. 

Chazelle – come noto, tra gli altri, regista di La La Land – arrivato nella Capitale per presentare il film, si dice subito: “felice di portare il film a Roma: è stato un film che ha attinto a molte opere di Fellini, come La dolce vita; infatti – come spesso messo in opera dal Maestro riminese – l’idea era di realizzare una panoramica della società, di come lavori e come si diverta, esaminando la Storia di Hollywood col prisma dello svago e del mestiere, e come sia un ciclo, dalle feste al set e viceversa; l’obiettivo era restituire l’idea della politica, della speranza, dei sogni realizzati e di quelli infranti”. 

Un prisma sono anche le differenti personalità dei personaggi, ciascuno cangiante secondo lo specifico profilo narrativo e, come spiega sempre l’autore, “in ciascuno di loro ho tentato di mettere in maniera indiretta qualche aspetto che mi appartiene, riflesso dell’esperienza personale nello specifico periodo in corso. Tutto il gruppo dei personaggi sono la sintesi di me, è un modo per esprimere la mia essenza”. In particolare definisce: “Margot Robbie una forza della natura, disposta ad andare fino in fondo: spesso lei paragona il recitare all’essere una bestia animale, e questo è stato utilissimo; al contempo ha una grande tecnica, un virtuosismo se combinato con l’essere selvaggia, appunto. Con lei basta creare l’ambiente e ti dà l’anima”. 

Poi, “Il tono, il genere, lo stile volevo riflettessero il momento in cui la società si trovava, passando da commedia a tragedia: ecco perché l’idea di dividere il film a metà. L’esuberanza della commedia iniziale doveva sfiorare quasi l’horror per mostrare le due facce della medaglia, tutto questo passando per l’ascesa, a cui segue poi la caduta all’inferno, un po’ come Dante, dal Paradiso agli inferi. In particolare il periodo degli Anni ’50 volevo rappresentasse per lo spettatore una sintesi di tutto”. 

Una storia, quella di Babylon, che nasce “sulla carta” oltre un decennio fa, un momento di ulteriore trasformazione della stessa Hollywood, rispetto non solo a quello del film, ma anche al presente stretto: “ritengo che ciò che è andata perduta – propria, invece, del periodo che si mette in scena – sia stata la libertà: è qualcosa di intrinsecamente connesso a Hollywood, allora qualcosa di nuovo, quando si considerava il cinema una forma d’arte volgare; Los Angeles era vista come una frontiera folle, in cui questi pionieri si creavano una strada, un’esplosione di possibilità artistiche; era inevitabile che questa fiamma si affievolisse e venisse sostituita da altro; oggi abbiamo da imparare da quella Hollywood, oggi c’è tanto moralismo, tanto conformismo puritano, e gli artisti dovrebbero opporsi e rivendicare la libertà che è stata soppressa e repressa. Questa storia – che ho cominciato a scrivere 15 anni fa – racconta questo in maniera evolutiva”. 

Il film sceglie di mostrare una reiterazione dell’eccesso e per Chazelle è stato “importante mostrare quello che Hollywood è spesso fin troppo brava a nascondere: va ricordato che all’epoca il cinema non era così rispettato come oggi, ma visto come qualcosa di criminale, di basso, di pornografico, di sporco. Infatti, è già insito nel titolo Babylon, qualcosa che nasceva dal peccato, dal vizio; era un’industria nuova che cercava un’identità, ma creata da reietti della società che tirano su una città nel mezzo del nulla; il che corrisponde anche all’idea di una follia”.  

Il film, che esce al cinema in Italia dal 19 gennaio con Eagle Pictures, ed è già stato distribuito negli USA lo scorso 23 dicembre, non ha naturalmente lasciato indifferente la critica, senza stupore per Chazelle, che afferma: “sapevo avrebbe suscitato determinate reazioni; alla base del film c’era un po’ l’intenzione di accarezzare ‘contropelo’, spingere qualche pulsante che facesse reagire le persone. L’idea era realizzare un film che fosse controcorrente: sono grato alla Paramount che, pur sapendo che sarebbe stato controverso, è stata coraggiosa nel finanziarlo e sostenerlo, senza chiedermi compromessi, una libertà che mi ha permesso di non annacquare o filtrare. Mi rendo conto che sia anche uno shock, ma fin troppi film oggi celebrano la patina di superficie della vecchia Hollywood. La speranza è che il film possa trovare il suo pubblico, accolto a prescindere dal ‘come’, vorrei potesse suscitare dibattito e non scivolasse via in maniera silenziosa. Nel realizzare il film avevo l’intenzione che potesse fare rumore. Un film, quando uscito, non mi appartiene più, diventa della parte del mondo che lo guarda: io ho fatto quello che sentivo di dover fare, adesso tocca al pubblico, a chi giudica. È come lasciar andare un figlio”. 

E, come Damien Chazelle nel film racconta un passaggio tanto artistico, quanto tecnico, quello dal periodo del Muto al Sonoro, sollecitato sulle più recenti tecnologie a disposizione del cinema, come il 3D, il regista pensa che possa essere: “estremamente interessante, uno degli strumenti che il cinema ha usato nel tempo per fornire allo spettatore esperienze che non può fare a casa: come è stato per il CinemaScope, sono modalità per convincere il pubblico a tornare in sala; ma credo che molto dipenda anche dalla responsabilità dell’artista, queste tecnologie non sono da usare come trucchetti ma come novità, altrimenti spariscono perché non aggiungono valore, cosa avvenuta invece col suono o col colore. Il 3D può far la differenza nelle mani di James Cameron, capace di dargli valore estetico. Il 3D deve aiutare a espandere le possibilità. Si tratta spesso di transizioni difficili: si tende a pensare il cinema sia qualcosa di vecchio, invece è estremante giovane, ancora non abbiamo esplorato tutte le possibilità” e così, sul tema del futuro della sala, Chazelle risponde prendendo proprio spunto da Babylon: “il film finisce nel ‘52 con scene di Singin’ in the Rain, tra i film  del periodo che contengono il timore, l’ansia della morte del cinema; molti dei film del tempo avevano questa paura rispetto all’avvento della televisione. Sono ottimista perché penso ci sia un continuo ciclo di nascita e morte, una costante evoluzione: Hollywood muore e rinasce”. 

 

Nicole Bianchi
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