Brendan Fraser e la Balena bianca

Ruolo da Oscar per Brendan Fraser in The Whale, il film di Darren Aronofsky in sala dal 23 febbraio con I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection


Moby Dick è l’ossessione di Charlie, come la Balena Bianca lo è per il Capitano Achab. Charlie è un docente di scrittura creativa, obeso e gravemente cardiopatico, che vive rintanato in casa. Lo incontriamo nell’ultima settimana della sua vita. Legge e rilegge un tema sul celebre romanzo di Herman Melville, che per lui rappresenta la metafora dell’impossibilità di raggiungere il cuore della propria unica figlia Ellie, che Charlie ha abbandonato quando lei aveva appena 8 anni per andare a vivere con il suo amante. E da quando il giovane è morto in tragiche circostanze, Charlie si è murato vivo tra i suoi libri e gli avanzi di junk food. Dà lezioni via internet (ma con la videocamera spenta), mangia compulsivamente, è accudito da un’unica amica (l’attrice Hong Chau, candidata all’Oscar per questo ruolo). Ma in quell’ultima settimana farà degli incontri – dalla figlia Ellie all’ex moglie a un predicatore cristiano che annuncia la fine del mondo – che gli cambieranno l’esistenza. 

Ruolo da Oscar per Brendan Fraser in The Whale, il film di Darren Aronofsky in concorso a Venezia 79, un lavoro sul corpo dell’attore paragonabile a quello fatto, mutatis mutandis, dal regista su Mickey Rourke per The Wrestler, che vinse il Leone d’oro nel 2008. Una sfida ‘enorme’ per l’attore che ha dovuto “imparare” a muoversi con addosso un ‘costume’ da quasi 300 kg, ovvero una tuta protesica che simula il corpo obeso del protagonista di questa storia tragica di redenzione.

Nel film Fraser è appunto Charlie, un uomo profondamente buono che crede nella bontà dell’animo umano nonostante tutto ed è lacerato dai sensi di colpa. Lo vediamo impegnato in un match con la figlia diciassettenne (Sadie Sink) che ha abbandonato anni prima e che non glielo ha mai perdonato. Uno scompenso cardiaco lo sta portando alla tomba ma la sua è una morte annunciata e anzi voluta. Per lo spettatore è quasi impossibile restare indifferente e un limite del film è proprio questo aspetto di manipolazione dei sentimenti dello spettatore. Il regista, a Venezia, ha raccontato come per lui fosse fondamentale andare oltre il giudizio e, in qualche caso, il disgusto, nei confronti dell’obesità. Per l’attore si trattava di entrare in profonda risonanza con i sentimenti del personaggio, che sono completamente dominati dai limiti di un corpo quasi incapace di gesti semplici e quotidiani, come alzarsi da un divano o raccogliere un oggetto da terra.

“Ho dovuto imparare una maniera assolutamente nuova di muovermi. Ho sviluppato muscoli che non sapevo di avere e ho sentito le vertigini a fine giornata quando mi toglievano la tuta, come quando uno scende da una barca. Mi ha fatto apprezzare chi ha un corpo simile: bisogna essere davvero forti fisicamente e mentalmente”, ha raccontato l’attore, che ha vissuto lui stesso una situazione di forte depressione, in passato, prendendo anche molto peso. Ma aggiunge: “È una storia di ciò che succede dietro una porta chiusa. Questa è stata la sfida più grande per me, Charlie è l’uomo più eroico che abbia mai interpretato. Ha un superpotere: vede il bene nelle persone”.

Il film, che ha avuto una gestazione di dieci anni, nasce dallo spettacolo teatrale del 2012 dal titolo omonimo scritto da Samuel D. Hunter, anche sceneggiatore. “Ricordo di aver letto la recensione sul ‘New York Times’ – racconta Aronofsky – e di essere andato subito a teatro a vederlo, perché mi aveva suggerito dei pensieri e quando ho visto lo spettacolo sono stato profondamente commosso”. Non è stato facile trovare l’interprete giusto: “Per molti motivi. Nessuno mi colpiva particolarmente. Poi ho visto il trailer di un piccolo film brasiliano con Brendan e mi si è accesa la lampadina, ho avuto una sorta di illuminazione”. 

The Whale è stato girato subito dopo il periodo del primo lockdown, in un appartamento e con cinque soli attori (tra cui Samantha Morton nel ruolo della madre). “E’ un piccolo film gentile che abbiamo girato in totale sicurezza, nessuno si è ammalato di Covid”, puntualizza Aronofsky. Due ore dentro un ambiente quasi unico, il rischio claustrofobia è altissimo. “I limiti per me sono una sfida, come in Mother, dove avevo un’unica casa come set. Qui c’era addirittura un personaggio incapace di muoversi e un formato, il 4:3, che rimpicciolisce lo schermo. Ma non mi sono mai sentito soffocare. Molto dipende da come abbiamo mosso la camera, ma anche dalla profondità dello script, di come si scopre sempre di più dei personaggi, che si rivelano lentamente, ogni scena ha qualcosa”, dice il regista. E aggiunge: “Così tanti di noi hanno perso tanto negli ultimi anni, c’è stata una cesura tra gli esseri umani, ora abbiamo bisogno di connessione e di unione e questo film sfida il cinismo per parlare di questo. C’è del cinismo, ma è costantemente in lotta con la speranza di Charlie e la sua visione del mondo. La frase ‘le persone sono incapaci di non avere a cuore gli altri’ è la ragione per cui ho fatto il film”, spiega. “Questo è il messaggio più importante. Tutti si danno al cinismo e all’oscurità, ma quello di cui abbiamo bisogno è che dobbiamo credere negli altri, dobbiamo aggrapparci a questo”. 

A interpretare la figlia è Sadie Sink, la giovane attrice preferita di Aronofsky: “Quando Ellie rivede il padre dopo tanti anni, non lo riconosce neppure – spiega lei – lo ha reso un mostro nella sua mente. E’ molto arrabbiata e non si aspetta che lui la ami così tanto, non si aspetta neppure di trovarsi di fronte un padre. Ogni scena tra loro due è una battaglia, in cui lei vuole avere ragione e torto insieme”.

The Whale – che ha ottenuto tre nomination (Fraser, Chau e Miglior trucco e parrucco) – esce il 23 febbraio distribuito da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.

Cristiana Paternò
01 Febbraio 2023

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