Tutti i motivi per leggere la biografia di Clint e Ron Howard

The Boys è la biografia scritta a quattro mani dal regista premio Oscar Ron Howard e da suo fratello Clint, in cui raccontano la loro infanzia da attori bambini


Chi sono – o meglio chi erano – Rance e Jean Howard? Si potrebbe rispondere dicendo che sono stati gli attori che hanno interpretato rispettivamente lo zio Ray in Nebraska e la madre di Tom Hanks in Apollo 13. Oppure, più semplicemente, si potrebbe dire che sono stati i genitori che hanno cresciuto nel culto dell’arte e della recitazione i fratelli Ron e Clint. In entrambi i casi, si farebbe loro un torto, perché –  come è evidente leggendo la biografia familiare The Boys – Rance e Jean sono stati molto di più: una coppia di “sofisticati bifolchi” che spinti dalla loro dedizione e dai loro semplici ma saldi valori hanno lasciato il segno – anche solo indirettamente – in 70 anni di storia del cinema e della televisione americana.

The Boys – edito da Baldini + Castoldi – è un libro unico nel suo genere: un’autobiografia a quattro mani che abbraccia una vera e propria epopea familiare. Per parlarne, però, bisogna prima affrontare l’elefante nella stanza: l’unico personaggio della famiglia Howard che si sarebbe potuto permettere – per valore mediatico e documentale – di scrivere un’autobiografia è, chiaramente, il solo Ron Howard, il celebre interprete di Richie Cunningham in Happy Days e, in seguito, regista da Oscar di film come A Beautiful Mind, Cinderella Man e Rush. Ma non stupisce – coerentemente con quanto fatto per tutta la sua carriera – che abbia preferito includere nel progetto anche il fratello minore Clint, per celebrare insieme il ricordo dei propri genitori, che oltre alla vita, hanno regalato loro fin da giovanissimi anche un mestiere: quello dell’attore.

Lo stile narrativo

The Boys è scritto a due voci, con una leggera preponderanza –  per ovvi motivi – di quella di Ron, che riesce a tenere le redini del racconto con assoluta maestria. In fondo, un grande narratore si riconosce anche fuori dalla propria comfort zone. Le sequenze di Clint, invece, sanno emergere per la grande ironia e, soprattutto, autoironia che le contraddistinguono. Come puoi crescere all’ombra di Richie Cunningham, d’altronde, senza saperti prendere un po’ in giro? L’alternanza delle voci rende lo scorrere delle pagine piacevole e vario, senza la necessità di inutili orpelli. Così come accade nei film di Ron, lo stile di comunicazione degli Howard è semplice e focalizzato sull’obiettivo: raccontare una bella storia.

Un’infanzia da attori bambini

La recitazione era la vera attività della famiglia Howard”. Ron e Clint devono tutto al mestiere dell’attore: è durante un corso di recitazione in una scuola dell’Oklahoma nel 1947, infatti, che i loro genitori si incontrano. Neanche 10 anni dopo, il loro primo figlio Ron debutta – appena duenne – nel mondo del cinema, altri 5 anni dopo è il turno del loro secondo figlio Clint esordire in un episodio televisivo. All’inizio degli anni ‘60 esistono quattro Howard attori, anche se, insospettabilmente, sono i due più giovani ad ottenere il vero successo.

Mentre la carriera di Rance fatica a prendere il volo e quella di Jean si è volontariamente interrotta con la prima gravidanza, quelle dei piccolissimi Ron e Clint è già incredibilmente prolifica. Cresciuti a pane e recitazione, iniziati al “metodo” fin dalle prime parole, i due fratelli Howard ottengono ruoli importanti in serie molto popolari per il pubblico statunitense: The Andy Griffith Show, dove Ron interpreta l’iconico Opie, e l’Orso Ben, dove Clint veste i panni del protagonista Mark. The Boys, insomma, rappresenta un vero e proprio manuale di come si cresce e si educa un attore bambino, vista l’incredibile e positiva esperienza vissuta dai due narratori. La passione smodata per il proprio mestiere ha rappresentato per papà Rance la chiave che ha portato al successo precoce i due figli, riuscendo a gestire nel contempo la difficile condizione di essere decisamente il meno popolare degli Howard.

Il libro è pieno zeppo di incredibili chicche e curiosità legate al mondo del cinema e della televisione statunitense di quegli anni, un’industria ricca e complessa in cui i protagonisti di questa storia imparano a muoversi tra infinite difficoltà.

La dura vita dell’attore adolescente

Forse la parte più intensa di tutta la biografia è quella incentrata sulla fase adolescenziale dei due protagonisti. Quante volte abbiamo visto giovanissimi attori cadere nell’anonimato una volta che la pubertà ha stravolto i loro lineamenti da bambini? Quante altre volte la ricchezza e la popolarità sono state mal gestite dalle loro famiglie? Anche qui, la famiglia Howard ha saputo proteggere e valorizzare i propri componenti, anche nei momenti più delicati.

È semplicemente straordinario leggere della gestione finanziaria dei compensi dei due bambini, quasi totalmente messa da parte per il futuro, nonostante le ristrettezze economiche. Una scelta difficile, ma che ha dato ai due un’infanzia quasi normale –  se si escludono il tempo passato sul set e i continui viaggi –  lontana dagli eccessi di Hollywood. Memorabile la scena in cui il piccolo Ron, facendo i calcoli, si rende conto, quasi vergognandosene, di guadagnare più del suo idolo: un celebre giocatore di baseball.

La famiglia Howard ha saputo superare anche tutti quei momenti in cui “il telefono non squillava”, soprattutto quando Ron e Clint, ormai adolescenti, venivano superati a destra nei casting da attori più grandi, ma senza le ristrettezze legali che vincolano gli attori minorenni. “Per la prima volta cominciai a capire il peso psicologico che mio padre si trascinava addosso di mese in mese, –  scrive Ron –  fissando quel telefono muto con un misto di speranza e frustrazione. È difficile non prendere i rifiuti come un fatto personale”.

Gli Howard hanno saputo superare, soprattutto, la sfida più grande: la lotta alle dipendenze del loro figlio minore.

Clint è entrato, infatti, fin da giovanissimo nel vortice dell’alcolismo e, in seguito, della droga, uscendone solo grazie al supporto del fratello e dei genitori, che non si sono arresi davanti alle sue difficoltà. Il resoconto di quegli anni da parte di Clint è uno dei momenti più preziosi dell’intero volume: “Una cosa è usare la droga, un’altra è lasciare che la droga usi te”.

La nascita di un caratterista

Se da una parte Clint ha dovuto affrontare la sfida delle dipendenze, dall’altra non è stato di certo facile accettare di non essere fatto per i ruoli da protagonista. “Fu la prima volta che capii di non essere lo stesso tipo di attore di Ron. –  racconta a un certo punto –  Lui era più un protagonista, avvertiva un certo tipo di responsabilità per portare avanti un film. Io non lo ero, ero un caratterista… Questa epifania mi diede il permesso di essere più impavido, più fuori dagli schemi, l’attore che poi divenni da adulto”.

Abbandonare le velleità da grande star e le ambizioni di divismo per raggiungere una vera soddisfazione professionale è una fase che tantissimi attori devono affrontare nel corso della loro carriera, ma questo non li rende di certo interpreti meno validi. La parabola attoriale di Clint, così piena di intoppi e difficoltà, così straordinariamente normale, è una delle esperienze più rare che possiamo trovare in un libro di questo tipo. Chi comprerebbe la biografia di un caratterista qualsiasi?

La nascita di un regista

Tra le tante ragioni per cui The Boys è un libro che ogni cinefilo dovrebbe leggere c’è il fatto che ci permette di scoprire dall’interno il processo che ha portato alla nascita di uno dei più rilevanti registi della sua generazione. Non serve spiegare quanto sia affascinante leggere della passione per la regia di un giovane e popolare attore che, per dedicarsi interamente alla difficile e per nulla scontata carriera di regista, decide di mollare tutto: lasciare il mestiere che meglio conosce proprio nel momento in cui ha toccato l’apice della propria celebrità –  nel pieno del clamore di Happy Days –  e abbandonare il ruolo di Richie Cunningham, uno dei personaggi più amati della tv americana del periodo.

Una carriera – quella di cineasta – che si è alimentata anche dell’esperienza vissuta sui campi da basket, dove da ragazzino sfidò un insospettabilmente abile Tim Burton, e dove, vestendo i panni dell’allenatore, capì il valore del gioco di squadra. “Ho scoperto che lavoro meglio e ottengo il massimo se mi adatto ai punti di forza delle persone con cui sto collaborando, –  rivela Ron, in relazione alla propria esperienza da allenatore di basket –  anziché aderire rigidamente a un ipotetico “metodo Ron Howard” prestabilito. Non esiste un metodo del genere. In effetti, questo è uno dei motivi per cui non possiedo quella che definireste una firma autoriale, e perché i miei film sono stati così diversi nei toni e negli argomenti trattati”.

Dagli occhi di Ron vediamo la fascinazione per la Nuova Hollywood degli anni ‘70 e ‘80, toccata con mano nel lavoro da protagonista sul set di American Graffiti, vediamo le prime prove di un autore in erba in un’epoca in cui realizzare anche solo un cortometraggio era un’impresa notevole e costosa, vediamo le vicissitudini per farsi produrre il primo film, l’ansia del primo set dall’altra parte della macchina da presa, ma soprattutto vediamo la dedizione di un regista in fieri che riesce a realizzare il suo sogno, passo dopo passo.

Un viaggio appassionante dentro il mondo patinato di Hollywood, dal punto di vista di un uomo diventato il simbolo  dentro e fuori dal set  del ragazzo “acqua e sapone” americano, che si fa testimone dei tantissimi cambiamenti avvenuti nel corso dei decenni: “Riflettendo sui fatti di allora mi sono reso conto di quanto fosse tossica l’atmosfera per le donne nel cinema, quando ero un attore bambino. E le cose sono migliorate, ma troppo lentamente. Fortunatamente il nostro settore ha finalmente iniziato a evolversi verso un’industria più sicura e rispettosa… questo cambiamento è arrivato tardi e non è ancora diventato la norma”.

Una famiglia, fino alla fine

Chi vorrebbe leggere The Boys per scoprire gli aspetti nascosti delle più grandi produzioni di Ron Howard –  i dietro le quinte, gli aneddoti –  resterebbe deluso. La narrazione diventa sempre più dilatata man mano che i genitori si allontanano dalle vite dei figli, lasciandoli liberi di muoversi nel mondo e di creare le loro carriere e, soprattutto, le loro rispettive famiglie. Dei Ron e Clint maturi ci sono solo sprazzi, accenni qua e là, legati soprattutto ai momenti più intensi vissuti con Rance e Jean, tra i quali, inutile dirlo, gli ultimi. Come quando Ron fonda la propria compagnia di produzione, staccandosi da quella precedentemente creata con il padre, o il racconto dell’ultima scena in cui Clint e Rance hanno recitato assieme, per non parlare delle strazianti parole dette a fil di voce dalla morente Jean. La sensazione alla fine delle oltre 500 pagine di The Boys è di avere letto qualcosa di sorprendentemente coerente e necessario, di essere entrati nella vita di una famiglia unica nel suo genere. Una famiglia così speciale che meriterebbe di essere raccontata in un film. Cosa che, per ovvi motivi, non possiamo escludere che accada.

Carlo D'Acquisto
23 Aprile 2023

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