Segni d’amore tra i sobborghi di Philadelphia

Esce in sala l’11 maggio per NORI Film in collaborazione con FICE Signs of Love di Clarece Fuller, vincitore del Premio Corbucci di Alice nella Città


Esce in sala l’11 maggio per NORI Film in collaborazione con FICE Signs of Love di Clarece Fuller, vincitore del Premio Corbucci di Alice nella Città. Nel cast Hopper Jackson, Dylan Penn, Zoe Bleu, Wass Stevens, Cree Kawa, Jahlil T. Hall e Rosanna Arquette.

Il contesto in cui si svolge la storia è il quartiere di Port Richmond, situato a Philadelphia, che rappresenta un sobborgo problematico in cui diverse culture convivono e prevale la legge del più forte. Il personaggio interpretato da Hopper Jack Penn è Frankie, un giovane proveniente dal nord della città, che nutre il desiderio di migliorare la propria vita. Tuttavia, Frankie fatica ad assicurare una vita normale al nipote adolescente, sperando che insieme possano evitare i pericoli legati alla microcriminalità e all’abuso di sostanze, che hanno già coinvolto suo padre.

La vita di Frankie cambia quando incontra Jane, una ragazza sorda proveniente da una famiglia agiata. Questo incontro improvviso fa rinascere in lui la speranza di poter credere nell’amore e di avere finalmente la possibilità di una vita migliore. Tuttavia, il suo sogno di fuga dalla difficile situazione del quartiere e dall’influenza negativa della sorella maggiore di Jane sembra quasi impossibile da realizzare.

La storia d’amore è raccontata con grande poesia e delicatezza, usando gli screen del cellulare in sovraimpressione per permettere allo spettatore di capire cosa si dicono Frankie e Jane.

“Mi sono ispirato al cinema di Terrence Malick – sottolinea Fuller – e alla sua capacità di raccontare anche senza parole”.

“Penso che Jane non giudichi le persone sulla base di come appaiono, da dove vengono e chiaramente non per come suona ciò che dicono – fa eco l’interprete Zoe Bleu – È stata giudicata per tutta la vita sulla base della sua disabilità. La trattano da stupida, ma non lo è. Per certi versi una disabilità può diventare un vantaggio. Il linguaggio può essere manipolato, il corpo no. Non puoi mentire con gli occhi o la faccia. È come se avesse un superpotere. Conosce le persone per come sono e non per ciò che dicono di essere”.

“Crescere in povertà – continua il regista – è stordente e complesso. Può limitare la mentalità e quindi le opportunità. Tutti quelli che ti circondano hanno i vestiti più belli, le scarpe da ginnastica migliori o la console per videogiochi più recente, e tu vieni preso in giro perché non possiedi nulla di tutto ciò. In casa, sei solo per la maggior parte del tempo; tua madre lavora 12 ore al giorno per non vivere di buoni pasto e per crescere 5 figli da sola. Non c’è tempo per darti attenzioni speciali e non sei mai coccolato. Tuo padre non è presente e tu stai cercando di capire come affrontare ciò che la vita ti propone. Da adolescente, inizi a fare scelte basate sulle cose tangibili della vita per sentirti “figo” come i tuoi coetanei. Da adulti ci si rende conto che sono le cose intangibili a essere importanti, ma si è già intrappolati dalle scelte fatte da adolescenti. O almeno così si pensa… “

L’ambientazione svolge ovviamente un ruolo predominante: “Philadelphia, più precisamente Aramingo e Frankford Avenue nel quartiere di Port Richmond, per me è un personaggio – continua il regista –  Quest’area è stata di grande ispirazione e ha offerto lo sfondo perfetto per il film, grazie alla diversità culturale dei suoi quartieri popolari. Per la produzione, abbiamo lavorato con un budget molto ridotto. Uno dei più grandi insegnamenti che ho tratto girando per lavoro contenuti e video musicali è stato quello di creare video con un valore di produzione molto elevato, con un budget molto limitato. Per riuscirci, ho pensato che fosse davvero importante destinare la maggior parte del budget alle scene con dialoghi per ottenere una copertura completa, e poi girare per le strade in stile “guerriglia”. Ho girato a mano per unire entrambi i mondi”.

“La pandemia ci ha messo in modalità sopravvivenza – spiega poi ancora Bleu – e ci ha fatto capire che contano la famiglia e l’amore. Nel film vediamo proprio una modalità sopravvivenza. L’assunzione della droga per molti è questo, la necessità di superare un dolore, la sopravvivenza, ma per me è stata l’opportunità per individuare ciò che veramente contava. L’amore importante è quello che lascia spazio all’altruismo. Negli Stati Uniti c’è una cosa bella: i sogni a volte si avverano. Nessuno può decidere dove nasce, ma non è la nostra origine che fa di noi quello che siamo diventati, non ci impedisce di cercare di essere sempre persone migliori. Tutti hanno una possibilità. Credo nel potere dei sogni e delle intenzioni, si troverà certamente la soluzione per i problemi che affliggono il nostro e gli altri paesi. Anche lì si tratta di mettere da parte il bene personale per quello di tutti”.

Hopper Jack Penn commenta invece: “Quando mi è stata mandata la sceneggiatura quello che mi ha attirato è stato soprattutto di aver trovato molte affinità col personaggio, le sue esperienze sono lontane anni luce dalla mia vita ma ho sentito il personaggio molto affine. Per fortuna è arrivata in un momento in cui avevo risolto e lasciato alle spalle molti problemi. E’ una storia importante da raccontare. I ragazzi devono capire che in amore a volte bisogna lasciar andare chi si ama, per far sì che possano diventare quello che vogliono. Chi guarda il film si ritroverà in almeno uno dei personaggi, ne sono certo. Tutti abbiamo dovuto lottare e combattere con qualche forma di dipendenza ma alla fine, il film dimostra che c’è sempre una speranza”.

Il film parla anche di famiglia, così viene spontaneo chiedere a Penn qualcosa sulla sua, dal nome illustre:

“Innanzitutto sono cresciuto nel solo modo che conosco per crescere una famiglia – dice Penn – Nei limiti di cose che non danneggiassero me o gli altri i miei genitori mi hanno sostenuto e incoraggiato. Unico problema la mancanza di privacy, ma dopotutto non ero io quello famoso, piuttosto i miei genitori. Comunque l’ho sofferta, specie in situazioni negative”. “Conoscevo solo l’alfabeto del linguaggio dei segni e inoltre il regista non voleva che imparassi di più. Dovevo imparare in corso, come il mio personaggio. Tra l’altro in piena pandemia non c’era tempo per le prove ma con Zoe c’è stata grande chimica, i suoi occhi parlano e mi hanno guidato”.

“Entravamo in connessione anche attraverso i silenzi – conferma Bleu – Spesso contano i gesti e il linguaggio del corpo. Siamo molto amici e ci capiamo al volo, ci siamo subito piaciuti. In amore spesso le parole sono di troppo. Credo che l’alchimia tra noi in questo senso si sia vista subito e al regista è piaciuta”.

essere”.

Andrea Guglielmino
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