Alice Guy, la donna cancellata dalla storia del cinema

La prima donna regista è scomparsa dalla memoria per via di un oblio voluto da un mondo maschilista, ma l'opera di Alice Guy ha segnato la storia di quest'arte nel corso di una vita da romanzo dell'Ot


Quando raccontava dei suoi maestri, Alfred Hitchcock faceva tre nomi: George Meliès (“mi faceva volare sulla luna”), D.W. Griffith (“i suoi film mi emozionavano”) e “quella regista francese dei primordi, Alice Guy”. Stiamo parlando della stessa che Eisenstein aveva scoperto da bambino per un film, The Consequences of Feminism, la cui lezione ricordava bene da grande. Ma chi era Alice Guy?

Questa è una storia esemplare all’alba del cinema, una storia che racconta di Francia e America, genialità e talento, femminismo ante litteram e oblio voluto da un mondo maschilista. Questa è una storia da romanzo dell’Ottocento ma oggi attualissima, sepolta per più di 80 anni e riscoperta grazie alla passione di Pamela B. Green (regista) e Jodie Foster (voce narrante) che realizzano nel 2018 il documentario Be Natural: The Untold Story of Alice Guy-Blaché.

Potremmo cominciare il racconto il 22 marzo del 1895 quando i Fratelli Lumière organizzano una proiezione privata per quello che sarà poi il “piatto forte” della prima serata pubblica del cinematografo, il 28 dicembre dello stesso anno, “La sortie des usines Lumière”. Tra gli invitati c’è Léon Gaumont, amministratore della società fotografica che ha fondato con Gustave Eiffel (proprio quello della torre) e che ora domina il mercato. Léon si fa accompagnare dalla sua segretaria, la ventiduenne Alice Guy, occhi profondi e attenti, volto modernissimo, capelli neri, figura slanciata. I due escono entusiasti, ma è Alice a intuire il futuro di un’invenzione con cui si possono narrare storie e non solo riprendere il mondo in movimento. Meno di un anno dopo convince il suo amministratore che…si può fare di più: ottiene qualche centinaio di metri di pellicola per girare il suo primo film di finzione. La fée aux choux (un titolo che userà altre due volte) è una fiaba in cui recita da protagonista. Se consideriamo che la data fatidica è il 1896 possiamo concludere che Alice Guy non è soltanto la prima donna regista, ma anche una degna compagna dei Lumière e Meliès.

La nostra storia potrebbe però cominciare prima, quando i genitori di Alice vivono a Santiago del Cile dove il padre, Emile, ha una ben avviata tipografia; i due si sposano a Parigi nel 1865, ma vivono dall’altra parte dell’Oceano dove mettono al mondo quattro figli. In seguito a una micidiale epidemia tornano in Francia nel 1873 ed è qui che Alice nasce il 1 luglio a Saint-Mandé, Val-de-Marne.La bambina verrà cresciuta dalla nonna in Svizzera, poi dai genitori in Cile e infine dai Gesuiti a Veyrier. Se aggiungiamo che il padre muore quando la ragazza ha 18 anni, che la madre è senza lavoro e tocca alla figlia portare i soldi a casa, siamo ancora in un romanzo d’appendice, con una signorina di buona famiglia impiegata come stenografa e dattilografa. Tre anni dopo sarà il braccio destro di Léon Gaumont, cinque anni dopo la responsabile delle produzioni: una donna potente con gente come Louis Feuillade ai suoi ordini.

Alice Guy si sposa nel 1907 con il production manager della ditta, Herbert Blaché ed è ormai ai vertici della fama: è l’unica donna regista e produttrice in campo, ha diretto un kolossal come La vie du Christ, gira in media tre lavori a settimana. Alla fine della carriera (nel 1921) si stima siano almeno 700. E qui c’è il colpo di scena: pochissimi portano il suo nome.

Intanto i due felici sposi partono per l’America a capo della filiale Gaumont nel nuovo mondo. Ma in appena tre anni Alice trova i finanziamenti per aprire la sua compagnia, Solax, e poi si ingrandisce comprando i terreni di Fort Lee, la “Hollywood newyorchese”. Appassionata di tecniche e innovazioni, sperimenterà gli effetti speciali, la colorazione a mano dei fotogrammi, un primo sistema di sonorizzazione, insegnerà agli attori il naturalismo (il mitico cartello esposto all’ingresso del suo studio intima “Be Natural”) e agli sceneggiatori l’arte del racconto dal thriller gotico (The Pit and the Pendulum) alla commedia (The Great Adventure), fino a The thief (tra le sue migliori regie) e al suo congedo con Tarnished Reputations (1920).

La storia di Alice non finisce bene: il marito parte per Hollywood e poi divorzierà, la Solax va in bancarotta, lei scopre che nessuno riconosce i suoi meriti perché buona parte dei film sono senza firma o portano quella del marito. Era prassi non firmare agli esordi del cinema, ma nessuno dubitava dell’autorità di Griffith o Ford. Invece tutti rimossero in fretta Alice Guy che per decenni rincorse senza successo storici, critici, archivisti.

Alla fine degli anni ’40 scrisse un’autobiografia per rimettere a posto le cose, ma la figlia Simone trovò un editore soltanto nel 1976, quando la madre era già morta da otto anni nel New Jersey. Perfino la riconoscenza della Francia, che nel 1958 le aveva assegnato la Legion d’Onore, non bastò a ridarle il suo posto nella storia del cinema.

“Non c’è nulla in un film che una donna non possa fare con la stessa facilità di un uomo – scriveva nel 1914 -, e non c’è motivo per cui non possa padroneggiare ogni tecnicismo dell’arte nuova… Ci si chiede perché non si trovino i nomi di decine di donne tra i creatori di maggior successo”

Giorgio Gosetti
14 Maggio 2023

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