Sangue e petrolio per i killer di Scorsese

The Killers of the Flower Moon, che in Italia uscirà con 01 in contemporanea mondiale il 19 ottobre, è una contro-epopea western con gli attori "di" Scorsese: Leonardo DiCaprio e Robert De Niro


CANNES – Nel week end più affollato del festival, nonostante la pioggia e il freddo fuori stagione, la gente si accalca a ridosso del Palais per il film più atteso, quel Killers of the Flower Moon con cui il maestro Martin Scorsese torna quattro anni dopo The Irishman e dieci dopo The Wolf of Wall Street, per riunire finalmente i “suoi” attori feticcio: Leonardo DiCaprio e Robert De Niro, qui insieme a Lily Gladstone, John Lithgow, Brendan Fraser e tanti nativi americani.

Il film, che in Italia uscirà con 01 in contemporanea mondiale il 19 ottobre, dura tre ore e mezza (ma non si fatica neanche un attimo a mantenere l’attenzione accesa) ed è una contro-epopea western che scopre l’ennesimo vulnus della storia americana, la strage di nativi Osage uccisi per impossessarsi della loro ricchezza petrolifera. Una strage perpetrata dal gangster dal volto umano De Niro, abile manipolatore che si propone come amico degli “indiani” e anzi loro benefattore con un surplus di paternalismo ai limiti del tollerabile, parlandone anche la lingua.

Tante le star venute ad applaudire l’ottantenne Scorsese, che si ritaglia nel film un’apparizione ironica in un programma radiofonico sul caso degli Osage in sottofinale: Cate Blanchett, Isabelle Huppert, Kate Hudson, Tobey Maguire, Salma Hayek, Robbie Williams, Paul Dano, Gaspar Noe, Rossy De Palma, Costa Gavras, Claude Lelouch, Alfonso Cuaron, sono tutti lì per omaggiarlo. E alla fine della proiezione c’è una standing ovation di nove minuti, mentre le prime reazioni della critica sono tutte positive. 

L’ottavo film a Cannes per Scorsese – che vinse la Palma d’Oro con Taxi Driver nel 1976 e il premio per la miglior regia nel 1986 per Fuori Orario  è ambientato nell’Oklahoma degli anni ’20, quando dalla riserva assegnata agli Osage nelle Grandi Praterie perché infruttuosa e sterile cominciò a zampillare l’oro nero tanto da farne la nazione più ricca al mondo. Evento storicamente documentato e ricostruito infatti anche dalle immagini di repertorio che danno l’avvio alla narrazione. Da lì ci si addentra molto lentamente e progressivamente dentro al dramma dei nativi, esseri umani fragili, facilmente manipolabili, distrutti dalle abitudini alimentari dei bianchi che provocano il diabete per l’eccesso di zuccheri o per l’alcol, costretti ad esistenze brevi, che a cinquant’anni sono già del tutto consumate. E’ una pagina oscura e poco nota della storia americana, che riguarda, tra le altre cose, anche la nascita dell’FBI, che proprio su questo caso cominciò a indagare. 

Come sempre nel cinema di Scorsese, il film è percorso da un senso di ineluttabile tragedia, l’impossibilità di redimere l’animo umano, di sanare la crudeltà dei protagonisti che si lasciano dietro una striscia di sangue infinita eliminando via via tutti gli eredi di quella fortuna petrolifera, con tutti i mezzi possibili, dal veleno al tritolo alle esecuzioni sommarie.

Basato sul best-seller non fiction di David Grann, Gli assassini della terra rossa, il film segue il ritorno a casa di Ernest Burkhart (DiCaprio), un uomo senza qualità che dopo aver combattuto in guerra sul fronte europeo viene accolto dal potente e ricco zio Bill Hale, detto The King (De Niro) e indotto a sposare Mollie, un’indiana benestante, affetta da diabete (una sorprendente Lily Gladstone). Quello di DiCaprio è un personaggio apparentemente bidimensionale e poco interessante che acquista, nel corso della narrazione, ulteriori sfaccettature e contraddizioni, sviluppa un sentimento autentico per la moglie, proprio mentre, costretto dallo zio, la sta uccidendo lentamente con iniezioni quotidiane di eroina mista a insulina. L’atmosfera è quella di un western sui generis, arricchito dall’umanità dei personaggi dei nativi, dalla loro filosofia di vita, del tutto assente nei bianchi che sembrano interessati ad un’unica cosa, l’accumulo del denaro con ogni mezzo, per lo più illecito. “E’ un western – come dice Scorsese, che si è avvalso della consulenza del Capo Orso in Piedi – in cui quelli che vediamo sono senz’altro dei cowboy, ma oltre ai cavalli hanno pure delle automobili. In quella regione insieme ai soldi, sono sbarcati gli avvoltoi, l’uomo bianco, e tutto è andato perduto. Lì la criminalità aveva un controllo così capillare su ogni cosa che era più facile andare in galera per aver ucciso un cane che per aver ucciso un indiano”.

Cristiana Paternò
20 Maggio 2023

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