‘Rapito’, Bellocchio: “Ho scritto al Papa per farglielo vedere, attendo risposta”

Il regista piacentino e tutto il cast del suo film in Concorso presentano l’opera sulla storia reale di Edgardo Mortara, bambino ebreo strappato alla famiglia e cresciuto nel nome del cattolicesimo


CANNES – Marco Bellocchio stasera debutta ufficialmente con la prima mondiale di Rapito (leggi il nostro articolo sul film), uno dei tre film italiani in Concorso.

L’autore piacentino con tutto il suo cast hanno raccontato questa opera per il cinema, liberamente ispirata dal libro Il caso Mortara. La vera storia del bambino ebreo rapito dal papa (1996) di Daniele Scalise, sulla storia reale del bambino ebreo Edgardo Mortara che a metà ‘800 fu strappato dalla propria famiglia per essere cresciuto nel nome del cattolicesimo, giustificando l’atto drammatico come conseguenza del battesimo dello stesso.

Per Bellocchio l’idea nasce quando “ho letto il libro di Vittorio Messori, che contiene anche una piccola autobiografia di Edgardo, tutta in difesa della Chiesa e del Papa Pio IX. Però lì ci siamo fermati, perché si sapeva che Spielberg fosse al lavoro sul progetto ma, in un viaggio americano di promozione de Il Traditore, sapemmo s’era fermato. La mia supposizione è che si sia reso prudente all’idea di dover fare questa storia in inglese. Così noi siamo ripartiti. Quello che abbiamo interpretato ricade anche nella Storia di oggi ma non ho pensato di fare un film contro la Chiesa, il Papa o la cecità della religione. Mi affascinava la storia. Chi vedrà il film reagirà e giudicherà, ma non c’è intento ideologico o politico: è stato un viaggio complicato perché devi condensare in un film ciò che è essenziale”.

Bellocchio continua raccontando che: “finora ci sono stati alcuni sacerdoti che l’hanno guardato, erano molto emozionati e… pensierosi. Lo hanno visto anche alcuni ebrei e loro hanno espresso una commozione evidente: abbiamo rischiato ma questo mi ha fatto piacere. Poi, ho scritto al Papa per farglielo vedere ma non mi ha ancora risposto: spero lo possa vedere, attendo”. 

Entrando nel senso del film e nella vicenda, il Maestro spiega che sull’effettiva conversione di Edgardo “c’è un mistero: il giovane Mortara la pagò con malattie e incapacità; credo non sia mai riuscito a convertire nessuno, se non se stesso. Per gli ebrei è stata un’estrema violenza. Per lui, una conversione forzata, di sopravvivenza: ma una volta libero, il mistero è che decide di restare fedele al Papa. Ma perché devo giudicare? È così, e basta”.

Certo, nell’Edgardo “bambino ci sono una serie di reazioni, non è completamente domato: lui cerca di conciliare i genitori e il Papa, ecco perché la scena in cui toglie i chiodi dalla croce. Il rapporto è dialettico, vorrebbe salvare gli uni e gli altri, mentre in un film come Marcellino pane e vino c’è una fedeltà franchista al cattolicesimo: per poter vedere la mamma lui muore”.

Quello di Edgardo Mortara è un rapimento, tema che ricorre sin dal caso Moro, caro a Bellocchio, come gli viene fatto notare dalla stampa: “Non ci avevo pensato”, ammette, “ma si muove su piani differenti: i due rapimenti sono accomunati dalla cecità, quella brigatista convinta che la società diverrà comunista, guidata da un partito rivoluzionario; qui invece c’è da parte del Papa, per cui non è possibile cedere il bambino: “Non possumus” (Non possiamo) era l’ultimo titolo pensato prima di Rapito, che esprimeva il concetto del ‘cristiano per sempre’. L’essere ciechi accomuna i due rapimenti”. 

Sul casting per questo film – in cui Bellocchio chiama a sé alcuni dei suoi interpreti “feticcio”, in primis Fabrizio Gifuni (monsignor Feletti), ma anche Fausto Russo Alesi (papà di Edgardo) – spiega essersi svolto “in maniera classica: un po’ per età , e per esperienza, so che bisogna tentare di ritornare con gli stessi attori perché c’è complicità, affetto. Il fulcro che mi preoccupava era il bambino: c’è stato un casting concentrato in Emilia-Romagna, e infine mi ha colpito di Enea (Sala, Edgardo bambino), il suo sguardo. Noi vediamo in tv tanti bambini penosi nelle pubblicità dei biscottini, qui bisognava trovare un bambino vero, che non recitasse”.

Per Gifuni, in questa vicenda “terribile e spietata, c’era non solo una buona fede, ma la Fede, un’obbedienza alle norme del diritto canonico, ma anche a qualcosa di superiore. Ho cercato di lavorare per sottrazione: era l’inquisizione dell’800 e Feletti era un funzionario che applicava delle norme, per quanto assurde e lontane da noi lì andavano applicate. Abbiamo lavorato su un’assenza di luce nello sguardo, come se ci fosse uno sguardo spento. C’è mai un momento in cui si pensa a quanto questa azione sia terribile o no? La contemporaneità del cinema di Marco Bellocchio sta nel gesto creativo e nella libertà che lascia allo spettatore”.

Il Pio IX di Bellocchio è Paolo Pierobon: “l’ultimo Papa Re, mentre lo Stato Pontificio si sta sgretolando. Il mio punto è stato immaginare un quotidiano di questo Papa, morto a 85 anni, per quel tempo un’eccezione. Le decisioni efferate sono state fatte in buona fede, per cui da attore sospendo il giudizio”.

E, contraltare del dramma, sono stati la mamma Marianna (Barbara Ronchi) e il papà Mamolo (il suddetto Alesi, appunto), per cui: “L’obiettivo è stato riportare la questione umana della privazione. Il padre cerca di non soccombere, è reattivo nonostante il trauma, mi ha commosso molto: si mette in discussione per il bene del bambino, per riaverlo. Lui forse sarebbe anche disposto a compromessi, questo è molto umano”. Mentre per lei: “Marianna, a differenza del marito, che vede la possibilità di uscire dalla situazione, passa da una grande rabbia alla disperazione, capendo che il bambino non tornerà mai a casa. Negli anni la possibilità di conversazione è un ricatto che aleggia, ma la madre non si concederà mai perché quel che le resta è la dignità”.

Edgardo Mortara sullo schermo è appunto dapprima un bambino e poi un giovane uomo, il piccolo è interpretato dal delizioso Enea Sala che con la spontaneità dell’età fanciullesca e la vis emiliana racconta: “la prima volta il provino l’ho fatto per divertirmi ma alla fine, a quanto pare, sono piaciuto a Bellocchio, per il mio sguardo: è capitato e lo accetto”. Crescendo, i panni passano a Leonardo Maltese, per cui “Edgardo giovane è enigmatico, tormentato: ero fortemente influenzato dalle scene del vissuto precedente di Enea, ho lavorato sulla differenza. Non possiamo entrare nella sua anima, conosciamo i fatti: io ho cercato di prestarmi, non di dare risposte”. 

Dunque, Marco Bellocchio, 83 anni, consapevole di una stagione artistica vivissima, commenta la cosa dapprima ironizzando: “ringrazio mia moglie!” e poi aggiunge: “constato che non siamo eterni però in questo cerco di non correre in modo compulsivo e lavoro solo su cose che mi coinvolgono profondamente. L’età ha solo svantaggi ma hai esperienza e maggiore capacità di visione”.

Infine, sulla presenza a Cannes, commenta: “Non ho ricevuto mai nessun premio a Cannes, tranne la Palma d’onore, quindi se non dovessi prendere niente non cambia molto. Io spero qualche spettatore vada al cinema”, dal 25 maggio.

Il film è distribuito da 01 Distribution, per cui Paolo Del Brocco tiene a specificare che “l’incasso nazionale del primo giorno sarà devoluto alla Regione Emilia-Romagna, per l’emergenza in corso”. 

Nicole Bianchi
23 Maggio 2023

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