Wes Anderson, Scarlett Johansson e l’alieno: ‘Asteroid City’ e la paranoia della Guerra Fredda

Il film in Concorso - con Jason Schwartzman, Tom Hanks, Bryan Cranston, tra gli altri - è uno spaccato sociale, trattato tra ufologia e storia d’amore. Le musiche sono di Alexandre Desplat


CANNES – Il genio esplosivo di Wes Anderson non raramente disorienta parte della platea (aver personalità può destabilizzare, si sa), portandola a reagire ai suoi racconti con birignao o senso di noia addirittura: certamente le sue storie richiedono un’attenzione dinamica, la voglia di giocare a leggere un mosaico, un’immersione profonda sotto la pelle dell’oggettiva bellezza dell’immagine pura.

Asteroid City – in Concorso, a due anni di distanza da The French Dispatch (leggi il nostro articolo), scritto con Roman Coppola – è science fiction? commedia romantica? dramma? È un po’ tutto questo – ma non per questo è un disordinato pastone – ed è sicuramente, anzitutto, cinema allo stato puro, sin dalla dichiarazione sincera e ludica della costruzione dell’universo della cittadina desertica in cui s’ambienta la vicenda, perché incantevole è l’artificio palese della scenografia, così come il “dentro” e “fuori” dalla stessa (come in un Truman Show, ma consapevole), come su palco e dietro le quinte, come al limite tra realtà e messa in scena, che lui sottolinea ulteriormente scegliendo la doppia cromia fotografica: per Asteroid City un colore saturo, acido e brillante, a far da contraltare al bianco&nero. Insomma, anzitutto Wes Anderson mostra e conferma una consapevolezza di cosa sia il cinema inteso come gioco della fantasia, come movimento della creatività, come linguaggio che, pur ricorrendo a stilemi estetici giocosi – come nel suo caso – può trattare tematiche non meno complesse o serie di come si faccia con un racconto del reale.

Asteroid City racconta, infatti, l’ambivalenza degli Anni ‘50 negli Stati Uniti, questione non di poca sostanza.  

“Ho avuto diverse opportunità di costruire la scena, ho cercato di seguire la mia personalità, secondo un’atmosfera esotica. La macchina da presa può essere sorprendente, e in tal senso penso a Cocteau”, spiega Anderson, per cui il teatro di posa è stata una scelta “per dare una connotazione visionaria, poi il teatro permetteva anche un’intimità e una maggior possibilità di ripetizione. L’atmosfera creata era fondamentale per gli attori, perché l’esperienza incidesse sul risultato. Io sono molto attirato dalle possibilità tecniche del cinema, ma qui il mio modo di approcciare è stato probabilmente più simile a quello del 1930, quando certa tecnica non esisteva, ma la tecnica è sempre relativa al tipo di storia che si racconta”.

L’immaginaria cittadina desertica nel Nevada – caratterizzata un cratere meteoritico e un osservatorio astronomico -, diventata sito turistico da quando si è schiantato lì un meteorite, ospita per un fine settimana il convegno Junior Stargazer per giovani scienziati dilettanti, questa la storia centrale. Essendo però Andersson un autore che adora le storie annidate, il film è anche la cronaca di una compagnia teatrale di New York, i cui attori provano una nuova commedia intitolata… Asteroid City (queste le sequenze in bianco e nero). È così che nasce una miscela di fantasia apparente e gravità silenziosa, con un inchino all’Actor Studio e una strizzata d’occhio a grandi classici come Incontri ravvicinati del terzo tipo (grazie a cui fa capolino nel film uno spassoso alieno “total black” e occhioni bianchi, che possiamo già considerare icona e oggetto di marketing), Le Gouffre aux chimères di Billy Wilder o New York -Miami di Capra.

Una ricostruzione anticonformista e maniacale dell’America di metà secolo scorso, non gratuita o fine a se stessa, perché promemoria che dietro alla facciata dorata di una società, che respira abbondanza e progresso tecnologico, ovvero gli Stati Uniti di allora, c’era una sostanziale paranoia da Guerra Fredda, tanto che la colonna sonora – di Alexandre Desplat – suona spesso come (volutamente) improbabile, scandita da sonorità di esplosioni, finché una nuvola a forma di fungo – …chiarissima visione estetica dell’Atomica – appare regolarmente a ricordare che Asteroid City sia nata nei pressi di una base di test nucleari. Per il regista, Desplat “è un talento carismatico. Qui c’è un mélange di tradizioni musicali, con il giusto equilibrio, senza ripetizioni: la musica dona forma al film”.

Non sono “pupazzetti” i personaggi che Wes Anderson mette in scena: fedele a se stesso, ha costruito profili sofisticati quanto a tratti prossimi al cartoonesco, ma questa leggerezza visiva o la recitazione surreale e minimalista non sottraggono valore a grandi temi come la morte; Jason Schwartzman (il fotografo Augie Steenbeck), con le sue tre meravigliose bimbe, il figlio genietto e Tom Hanks, creano infatti una dolce famiglia, accattivante e volitiva, in cui accanto all’orgoglio per il piccolo scienziato si mescolano tenerezza e incomprensione, come nel grande dolore del lutto per la perdita della mamma, questione che Anderson riesce magistralmente a trattare con il surrealismo delle ceneri in un Tupperware, eppur momento pregno di grande dignità per tutti gli esseri umani chiamati in causa.

Non da meno la trovata narrativa, e anche puramente cinematografica nella tecnica, della discussione amorosa tra il personaggio dell’attrice impersonata da Scarlett Johansson e Schwartzman, ciascuno alla finestra dei rispettivi bungalow, separati dall’intera larghezza dell’inquadratura, come fosse un dialogo in un montaggio parallelo, eppure lì nello stesso spazio, ma appunto distanziati da un preciso concetto della visione geometrica dell’arte del cinema.

Anderson spiega che “si è lavorato con molta preparazione, cruciale per l’interpretazione dei personaggi. Il centro è l’attore ma poi conta anche una sorta d’improvvisazione capace di rilasciare l’emozione. Gli attori sono differenti a seconda del regista e della troupe, è un mistero: quando scatta una connessione permettono il risultato e la sorpresa. Eccellente per l’attore è la capacità di elaborazione del senso del sogno”.

Per Johansson il mondo di Anderson è “intenso, molto particolare. Lui crea qualcosa di tangibile e uno spazio utilizzabile, un’atmosfera vibrante come a teatro. Gli attori di un film sono come un’estensione del proprio essere interiore, per cui sì, si sviluppa il senso del sogno”.

Per Schwartzman “è sempre grandioso lavorare con lui, sempre sorprendente. È l’unica persona non famigliare che mi ha posto domande e sta attento alle mie risposte, è inusuale. Lui è rassicurante, e fa scelte perché tutto sia al meglio possibile e utile a progredire, dalla musica all’uso delle tecnologie, cercando di portare le persone verso la sua visione”.

Così per Bryan Cranston, Anderson “è un direttore d’orchestra. Ha la capacità di saper giocare. Per lui non importa che l’attore capisca tutto ma che resti disponibile al flusso del racconto”.

Wes Anderson, dunque, sceglie di narrare uno spaccato sociale affrontandolo con l’ufologia attraverso questa storia di fantascienza pensata come una storia d’amore.

Oltre agli interpreti suddetti, Wes Anderson, come consueto, ha scelto una parata di stelle per il suo film: Edward Norton, Jeffrey Wright, Tilda Swinton, Willem Dafoe, Maya Hawke, Adrien Brody, Margot Robbie, Steve Carell.

Nicole Bianchi
24 Maggio 2023

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