Jane Fonda: “Innamorata dell’Italia, c’è più uguaglianza”

Jane Fonda protagonista di una affollata masterclass al festival di Cannes


CANNES – Zero divismo, cento per cento di empatia, spirito battagliero, senso dell’ironia. Jane Fonda è così. Incanta la platea del festival, soprattutto femminile, con un’ora e mezza di incontro in cui si apre con schiettezza e semplicità. Tante le domande a cui risponde puntualmente, dando consigli alle giovani che entrano nel mondo del cinema – “le cose andranno sempre meglio, resta fedele ai tuoi sogni e rimani curiosa”, dice a una trentenne inquieta – e condividendo la sua forte passione ambientalista che la porta spesso nelle cronache delle manifestazioni.

Tailleur grigio come i capelli, un’aria da ragazzina nonostante gli 85 anni portati benissimo, energia pura – “il mio segreto? mangiare bene e dormire tanto, stanotte ho dormito 14 ore” – l’attrice statunitense ha ripercorso varie tappe della sua carriera ma ha parlato anche molto di politica, del suo impegno ambientalista, di femminismo. Due Oscar al suo attivo, per Una squillo per l’ispettore Klute e Tornando a casa, ha ammesso di aver fatto ricorso, qualche anno fa, alla chirurgia plastica: “Ma non ne vado fiera”. 

Rivoluzione permanente.

Nel 1970 ho detto che il mondo dovrebbe essere in perpetua rivoluzione, per gli attori è così. Ogni volta che entriamo in un ruolo, attraversiamo un processo rivoluzionario. Quando stai per girare un nuovo film sei una persona in transizione e sei vulnerabile, come la rivoluzione.

Lee Marvin.

Nel ’65 ho girato Cat Ballou con Lee Marvin. Mentre provavamo Lee è venuto da me e mi ha detto: “Ci hanno preso alla Columbia perché siamo economici, costiamo poco”. E’ stato un film fatto in fretta. Io ero un maschiaccio all’epoca. Lee era favoloso, sempre ubriaco, dovevamo portarlo in camera a braccia. a un certo punto mi disse che dovevamo ribellarci contro l’orario di lavoro, anche a nome della troupe. “Noi siamo le star, tocca a noi farci sentire”.

Robert Redford.

Quando ho girato A piedi nudi nel parco ero innamorata di lui, insieme abbiamo fatto quattro film. Il problema è che lui non ama baciare. Era sempre di cattivo umore e pensavo fosse colpa mia. Sei anni fa ho fatto un film con lui, Le nostre anime di notte, ed era ancora di cattivo umore, allora ho capito che non era colpa mia. È un’ottima persona, un uomo intelligente, ha solo qualche problema con le donne.

Alain Delon.

Era l’uomo più bello del mondo e a lui, diversamente da Robert Redford, piaceva baciare. Nel film Crisantemi per un delitto di René Clement (1964) abbiamo una bella scena d’amore. È stato il mio primo film europeo, un’avventura e ho conosciuto il mio secondo marito Roger Vadim.

Barbarella.

Barbarella è più strana che sexy. Non mi piaceva quando l’ho fatta ma adesso è divertente. Ricordo una scena in cui dovevamo volare appesi a dei fili. Avevamo dei corsetti di metallo e siamo stati agganciati in aria con queste stringhe sul pube per ore, una cosa da diventare sterili. Poi abbiamo visto i giornalieri e non andava bene. Roger Vadim – che già non era più mio marito – giravamo in Italia e c’era un pipistrello che volava tra me e la macchina da presa, così abbiamo dovuto rifarla.

La calda preda.

Anche questo film di Vadim lo feci per sentirmi vicina a mia madre che si è suicidata quando ero molto giovane e nel film il mio personaggio si toglie la vita.

Una squillo per l’ispettore Klute.

Nel ’73 passai una settimana a New York con prostitute e maitresse. In quella settimana non un solo cliente ha chiesto di dormire con lui, allora ho detto: “Prendete Faye Dunaway, non sono adatta per il ruolo”. Ho scoperto che tutte le prostitute erano state abusate da bambine e sono diventata femminista proprio in quel film. Nella scena finale, quando lui sta per uccidermi, piangevo ma ero felice di aver capito cos’è il femminismo. In quel momento sono diventata femminista a livello fisico, più avanti lo sono diventata completamente, ma finché sei sposata non puoi esserlo davvero al 100%, solo da single lo sei.

Come un ragazzo.

Avevo questi capelli biondi che mi facevano sentire femminile perché non ero sicura di esserlo. A 15 anni uno mi chiese se fossi un ragazzo o una ragazza. Sono stata dal barbiere di Vadim e quando mi ha tagliato i capelli mi sono sentita liberata.

Il Vietnam.

Negli anni ’70 sono diventata attivista contro l’intervento americano in Vietnam. Dopo Barbarella, ho cominciato a interessarmi a quello che stava succedendo, ho letto dei libri, e ho capito che noi americani non siamo sempre dalla parte degli angeli. In Francia non potevo fare niente contro la guerra e così sono tornata in America. Volevo fare solo l’attivista, ma qualcuno mi disse: “Abbiamo tanti militanti ma nessuna star del cinema”. Così ho continuato a recitare. 

Tornando a casa.

Nel ’78 ho fatto Tornando a casa con Hal Ashby, avevo passato due anni a lavorare con i reduci dal Vietnam in ospedale, incontrando anche le loro mogli che mi avevano fatto capire quanto fossero svuotati i soldati che tornavano. Tutto questo è entrato nel film, abbiamo anche improvvisato tanto.

Sindrome cinese.

La produttrice Sherry Lansing decise che dovevo fare fare un film contro il nucleare e facemmo Sindrome cinese diretto da James Bridges nel 1979. Parlava anche un po’ di gender e della nascita dell’infotainment in America. Dalle 9 alle 5 orario continuato (1980) era invece una commedia molto dark con Lily Tomlin. E’ lì che siamo diventate amiche, è mia sorella, la persona che amo di più. 

Tra attivismo e cinema.

Continuo a lavorare ma dipende molto dai progetti. In Italia ho girato il seguito di The Book Club. Sono troppo impegnata sulla crisi climatica per potermi dedicare totalmente al cinema. E’ una situazione molto seria, una tragedia, purtroppo le persone che hanno responsabilità sono tutti maschi: non ci sarebbe crisi climatica se non ci fossero il razzismo e il patriarcato. Sono tutte le questioni collegate. Più vai a fondo e più lo capisci. In questa lotta non sono sola. Lavoro con persone esperte, con Greenpeace. Troviamo i soldi. Purtroppo gli eletti in Usa, sia democratici che repubblicani, prendono soldi dalle grandi aziende ed ecco perché non si progredisce sul tema del clima. Dobbiamo prendere il potere, perché è in pericolo la nostra specie, l’homo sapiens. Però per prendere il potere devi avere i leader giusti.

Elezioni presidenziali.

Ho passato molto tempo prima del Covid a parlare con gente che sosteneva Trump. Ascoltare persone che non condividono le tue idee con tutto il cuore è molto importante per capire. L’anno prossimo ci sono le presidenziali, è cruciale, mi voglio concentrare su questo.

Hollywood.

E’ difficile vivere a Hollywood, ma io ho sempre avuto altre cose oltre alla mia carriera. E poi non mi sento parte del sistema. Non vado alle feste. Del resto non è che sia invitata… Credo che noi tutti abbiamo bisogno di avere un significato nella vita e l’attivismo mi dà me l’ha data.

L’Italia.

In Italia ho girato Barbarella, all’epoca vivevamo sull’Appia Antica. E di recente The Book Club Il capitolo successivo. Sono rimasta a Roma per due mesi. Sono innamorata della gente, dell’architettura, del cibo, di Villa Borghese. Penso che gli italiani sono più felici perché hanno un sistema scolastico e una sanità gratuiti, c’è più uguaglianza, le persone sono più dolci e gentili. Con Diane Keaton e le altre attrici del film siamo state molto ispirate dalla pasta e dal gelato. Se non ci fosse tanta burocrazia mi trasferirei lì.

Solidarietà femminile.

Le donne vivono in media cinque anni più degli uomini, questo grazie all’amicizia. Anche gli uomini sono amici ma guardano nella stessa direzione e parlano di macchine, sport e di donne. Mentre noi ci guardiamo negli occhi e apriamo la nostra anima. Non avere amiche è peggio del fumo per la salute. Purtroppo questa dannata cultura insegna agli uomini a non chiedere aiuto, penso che dobbiamo provare pena per loro.

Godard.

È stato un grande filmmaker, ma come uomo, mi dispiace… Troppe stronzate narcisistiche.

#MeToo.

Non ha fermato le molestie ma adesso se ne parla e questo fa un’enorme differenza perché se non ne parli il dramma si raddoppia.

Sul lago dorato.

Con mio padre Henry Fonda ho girato un solo film, Sul lago dorato, nel 1981, quando era già malato di cuore. Non volevamo che morisse senza aver lavorato insieme. E’ stata una delle esperienze più gloriose della mia vita. Ho imparato tanto da Katharine Hepburn, che era la partner di papà. Loro due hanno vinto l’Oscar, io ero candidata ma non vinsi e lui mi disse: “lo vedi, non mi raggiungi più!” Era molto competitivo. 

Cristiana Paternò
26 Maggio 2023

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