Serie TV, Old Style: ‘La Cittadella’, un trionfo d’altri tempi

Compie sessant'anni il 9 febbraio 'La Cittadella' di Anton Giulio Majano con protagonista Alberto Lupo, una delle serie tv old style più amate


La collezione SERIE TV/OLD STYLE è dedicata agli sceneggiati e serie della storia della tv. Utilizzando una macchina del tempo tanto immaginaria quanto potente, proviamo a vedere cosa erano le serie tv molti, molti anni fa perché per guardare con più chiarezza il presente e il futuro, andrebbe sempre capito meglio il passato. La nostra macchina del tempo ci catapulta all’indietro, fino all’origine della fiction televisiva: La Cittadella, una narrazione seriale che appartiene a un’epoca, l’inizio degli anni 60, in cui le storie divise in puntate trasmesse sul piccolo schermo non si chiamavano nemmeno “serie tv”. Era il 1964 quando uscì questa pietra miliare di una produzione a getto continuo che la Rai aveva iniziato dieci anni prima: gli “sceneggiati”. Si tratta di opere testimoni di un’epoca lontanissima, ricamata di ricordi sfumati, ingoiati dagli abissi del tempo. Era un periodo in cui gli autori televisivi pescavano dalle più importanti opere letterarie, capolavori italiani o internazionali, per adattarli al formato seriale il cui scopo principale non era il puro intrattenimento, ma l’intento pedagogico: in un Paese ancora in parte analfabeta, erano il modo più efficace per educare le persone ai valori sociale e alla lingua nazionale.

Storia di un successo

La Cittadella fu davvero un caso eclatante. Anton Giulio Majano, dopo alcune esperienze cinematografiche non esaltanti ma con un buon bagaglio letterario alle spalle, prese un libro inglese degli anni 30 molto amato – The citadel, appunto (proprio come la serie tv ideata dai fratelli Russo in onda in questo periodo) scritto da Archibald Joseph Cronin e lo adattò in quella forma che prendeva il nome di “teleromanzo”. Una variante letteraria dello sceneggiato classico che invece non partiva da una sorgente editoriale.

Già l’anno dopo l’uscita del bestseller di Cronin (1937) c’era stata una trasposizione cinematografica con una firma importante: il regista King Vidor. E addirittura il suo protagonista, Robert Donat, ottenne una candidatura all’Oscar (che poi vincerà l’anno successivo per Addio Mr Chips). Majano realizzò invece sette puntate, per una durata di circa otto ore e mezza. L’intento era raccontare con grande fedeltà al libro originale di un valente dottore – Andrew Manson – che si fa strada in un ambiente sociale diffidente, conservatore e ostile, dove anche nella medicina si è infiltrata la corruzione (cinque anni dopo, Sordi nel ruolo del dottor Guido Tersilli nel film di Luciano Salce eleverà il tema della sanità macchiata di arrivismo e avidità fino ad altezze insuperabili).

Anton Giulio Majano scelse Alberto Lupo, allora quarantenne, per il ruolo del dottore scozzese Manson. Cast azzardato se si tiene conto che nel romanzo originario il medico è un giovane neolaureato idealista al suo primi incarico. Evidentemente il talento purissimo e il carisma di Lupo oltrepassarono ogni ragione critica e impose al pubblico una credibilità capace di conquistare tutti. Le musiche furono affidate al grande Riz Ortolani e le scene in esterni vennero girate presso le miniere di Gavorrano, in provincia di Grosseto, in sostituzione delle cave del Galles dove si ambientavano le vicende del dottor Manson di Cronin.

La sera di domenica 9 febbraio 1964 sul Canale Nazionale (la Raiuno di oggi) andò in onda la prima puntata, la più lunga, e lo sceneggiato si concluse un mese e mezzo dopo. Il successo fu spiazzante, grandioso, immediato e divenne di gran lunga il teleromanzo più visto, seguito e amato degli anni Sessanta con una media di 12 milioni 300 mila spettatori a puntata, sesto programma più visto dell’anno (calcolando che il programma più visto, la finale di Sanremo, ebbe 14 milioni di spettatori, la differenza non era poi molta), unica fiction presente nella top ten degli ascolti. Accanto a Alberto Lupo, Anna Maria Guarnieri (nei panni della maestrina Christine), Laura Efrikian, Eleonora Rossi Drago, Loretta Goggi, Nando Gazzolo  e Ferruccio De Ceresa.

Diagnosi di un trionfo

La Cittadella resta il più famoso e replicato sceneggiato della tv italiana e il più eclatante caso di divismo televisivo. Alberto Lupo finì per coincidere con il suo stesso personaggio, tanto da essere interpellato per diagnosi e cure dalla gente che ormai lo credeva il dottor Manson. Si arrivò a invitarlo come ospite d’ onore a un congresso medico. Il pubblico italiano lo amava e idolatrava come un Dio.

Molte sequenze entrarono nell’immaginario collettivo e nella memoria condivisa di un’Italia ormai ipnotizzata dagli schermi tv. Memorabile per esempio la scena di Lupo-Manson che piange sotto la casa di un paziente morto mentre il bobby (il poliziotto) lo consola sotto una pioggia torrenziale.

Quasi tutti gli attori provenivano dal teatro, la recitazione era più vicina al cinema muto che all’Actor’s Studio. Ma quanta espressività. Quanta intensità in ogni sequenza. E quanta strepitosa fotogenia aveva una delle più belle attrici del dopoguerra, Eleonora Rossi Drago. Certo oggi ci apparirebbe tutto così lento, compassato, sentimentale, come quell’interminabile addio fra il dottore e sua moglie Francis, ma resta un pezzo di storia emozionante e forse eterno.

Manlio Castagna
04 Giugno 2023

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