Damiano Michieletto: “Il mio Rigoletto che dal Circo Massimo sfidò la pandemia”

Damiano Michieletto presenta alla Festa del Cinema di Roma il film opera che ha tratto dal suo Rigoletto al Circo Massimo, una produzione del Teatro dell’Opera di Roma, con Indigo Film e Rai Cinema


Il Rigoletto è mobile, qual piuma al vento. Lo si è visto dal vivo al Circo Massimo di Roma nel luglio 2020, in piena pandemia e con ingenti misure di sicurezza. Un’esperienza liberatoria, un atto culturale rimasto nella memoria e nel cuore di molti. Damiano Michieletto, regista dello spettacolo, ha rievocato la serata con emozione, presentando alla Festa del Cinema di Roma il film opera che ne ha poi tratto, Rigoletto al Circo Massimo, prodotto dal Teatro dell’Opera di Roma, Indigo Film e Rai Cinema. Leggi la nostra intervista alla produttrice Francesca Cima

Damiano Michieletto, lei è un regista teatrale fra i più importanti nel campo del melodramma. Come si è formato?

Non sono mai stato un melomane, nessuno mi ha portato all’opera da piccolo. Mi ci sono avvicinato facendola. Ho cominciato con degli spettacoli per bambini, che si sono dimostrati un’ottima palestra formativa che consiglio. Aiutano a evitare tutti i difetti teatrali, a mettere in primo piano l’emozione e le capacità comunicative. Ogni spettacolo, per me, rappresenta una partenza da zero. Devi cercare di incontrare un pubblico, emozionandolo. L’opera lirica non è altro che una storia raccontata con la musica. Non la devi capire, o ti cattura oppure no.

Come nasce questo progetto molto composito?

È nato come il tentativo di dare un segnale all’Italia, in piena pandemia, dimostrando che dopo mesi di chiusura si poteva fare qualcosa con la partecipazione del pubblico. L’idea è nata ad aprile e siamo andati in scena a luglio, mentre di solito a un’opera si lavora un anno e mezzo. Il Circo Massimo era perfetto per garantire il distanziamento sociale in una cornice suggestiva. Ho proposto Rigoletto perché volevo usare elementi semplici e radicali: una giostra, sei automobili e tre operatori steadicam. Senza la classica messa in scena, costumi e scenografia. Le camere si muovevano nel palcoscenico. Quindi c’erano: lo spettacolo, le riprese dal vivo gestite da una cabina di regia e una serie di brevi filmati che abbiamo girato nei giorni precedenti a Cinecittà, che rappresentavano le visioni e i flashback di Rigoletto. Il tutto, mescolato insieme, ha rappresentato la messa in scena dell’opera. Immagini che avevano un impatto emotivo. Con questo film abbiamo cercato di restituire l’esperienza di Rigoletto al Circo Massimo. Grazie a Indigo è nato poi anche un documentario, Rigoletto 2020, di Enrico Parenti, che racconta la nascita dello spettacolo.

Ha rivoluzionato la classica ambientazione dell’opera di Verdi.

Mi piaceva l’idea di creare uno spettacolo all’aperto. Di solito l’opera e il teatro li pensiamo sempre al chiuso, ma le cose storicamente più potenti, come il teatro greco e quello shakespeariano, erano sempre all’aperto. È una dimensione che mi dà un senso di festa, di collettività nel ritrovarsi. Soffro molto il buio in teatro, lo si dovrebbe superare. Mentre il cinema ne ha bisogno, altrimenti non si vedrebbero le immagini, sarebbe bello che il teatro oggi, anche per marcare una differenza, permettesse, come in passato, al pubblico di vedersi. Anche per far capire a chi lo fa che è il pubblico a dare senso a quello che si fa. Uno dei rischi per i registi di oggi è il narcisismo dell’autocelebrazione, come se solo quello che è sul palcoscenico fosse importante, dimenticando come se non ci fosse il pubblico non si andrebbe in scena. Che veda il pubblico, chi sta recitando e cantando. Il teatro per vivere ha bisogno del palco, ma anche della platea. Se un giorno farò il direttore di un teatro, mi batterò per avere le luci in sala.

Rigoletto al Circo Massimo insiste su atmosfere vicine al cinema noir.

È la storia stessa di Rigoletto che è un grande noir. Il protagonista diventa la vittima, tutta l’ambientazione rievoca uno shakespeariano notturno. Si raccontano una serie di eventi intrecciati tra di loro, fino alla risoluzione finale tragica. Si ritrovano, quindi, tutte le caratteristiche del noir, in quest’opera di Verdi. A partire dal testo da cui è tratta, un drammone di Victor Hugo, Il re si diverte. Se lo si sfronda dalla zavorra ottocentesca, rimane una trama perfetta per un noir, con un uomo solo e abbandonato, deforme, che vuole proteggere una figlia dal mondo, ma che invece finisce quasi per uccidere. A livello estetico volevo in scena delle cose concrete, reali. In modo che anche una ripresa cinematografica in primo piano non mettesse in evidenza niente di finto. A me piace quando con poco riesci a raccontare molto.

Mauro Donzelli
20 Ottobre 2021

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